Cucina

Distillati. Scienza, storia e territorio per «spiriti» tipici

Il consumatore «adulto» cerca qualità e soprattutto precisi caratteri distintivi
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Bella storia quella dei distillati che accompagnano le vicende dell'umanità da millenni (anche se l'uso alimentare è relativamente recente): nel Medioevo erano classificati come «acqua di vita» attribuendogli persino la capacità di resuscitare i morti, almeno quel tanto che serviva per ricevere i sacramenti e fare testamento, come ci ha ricordato il medievalista Angelo Baronio.
Ora l'alcol è nel mirino di una demonizzazione che poco ha a che fare con il prodotto. Un prodotto che è, Mario Fregoni non ha dubbi, figlio di materie prime agricole del tutto naturali (come le vinacce, la frutta, i cereali, la canna da zucchero, le patate) senza additivi aggiunti, che non servono.
Il fatto è però che il consumo cala in tutti i Paesi consumatori abituali (accade da 50 anni) in parallelo con il vino, ma il mercato globale cresce, sia pure con percentuali ad una sola cifra. L'Italia, ed ecco un luogo comune da sfatare, è uno scarsissimo consumatore di superalcolici (2,6 litri anno pro capite) rispetto all'Europa (8,2 litri) ed agli Usa (oltre 9 litri). Però è un forte esportatore soprattutto di distillati di qualità e quindi ha interesse alla partita.
Anche le modalità di consumo stanno cambiando. La «botta» di alcol è ricercata solo da una fascia di consumatori e sostiene solo il mercato dei distillati da miscelare (come la vodka) che meno hanno profumi propri meglio è. Il resto del consumo vuole prodotti raffinati, morbidi, profumati e soprattutto (questa forse la maggiore novità) distinguibili per materia prima, tecnica di distillazione e soprattutto territorio. La grappa di Franciacorta deve distinguersi da quella Veneta e guai se assomiglia all'Orujo della Galizia (che pure è fatto con le vinacce). Sul mercato deve essere ben netta la distinzione tra il Rum e la Cachaça, entrambe figli della canna da zucchero. Così fanno la ruota del pavone il Cognac ed il fratellino (ma suo progenitore) Armagnac che si distinguono nettamente nel disastroso mercato dei Brandy. La riprova la da l'Whisky che assorbe bene il calo di consumi interni moltiplicando l'export: le sfumature dei vari Whiskys sono ormai patrimonio dei golosi del mondo.
Al ribaltone va aggiunto che il settore ha la più alta concentrazione industriale del mondo con cinque firme che assicurano quasi tutta la produzione mondiale, mentre il gusto sta nettamente privilegiando (da noi come in Amazzonia) le piccole produzioni, le offerte degli artigiani e dei contadini.
Tutto da rifare, come direbbe Bartali? Certamente sì, ma non siamo all'anno zero. Anche i distillati più oscuri si stanno muovendo con centri di ricerca che approntano tecniche per esaltare piacevolezza e tipicità. L'alambicco non fa miracoli, ha ricordato a tutti Bruno Pilzer. La cotta sbagliata non si aggiusta più, almeno per gli standard attuali. Una volta era diverso. Le diavolerie della scienza come la fluorescenza X, la diffrazione o l'uso del naso elettronico devono essere applicate a monte (o a valle ma solo per smascherare le frodi), sulla materia prima, nella scelta dei lieviti, nel controllo delle fermentazioni.
A questi patti si può rispondere di sì, che le acquaviti hanno un futuro.
Era questa la domanda che si sono posti una trentina di scienziati riuniti la scorsa settimana in Franciacorta per il primo summit mondiale su tutte le più diffuse acquaviti del mondo. La sede è stata quella splendida di Borgo San Vitale, curatissimo restauro dei ruderi di una antica pieve, realizzato dalla famiglia Gozio e dalle Distillerie Franciacorta che quindi hanno realizzato una aggiornata e tradizionale distilleria che lavora in pratica tutte le vinacce della Franciacorta con esiti all'altezza del blasone. In parallelo al restauro i Gozio hanno finanziato la nascita del Forum Aquavitae, un centro studi internazionale presieduto da Mario Fregoni (docente alla Cattolica) e reso operativo da Luigi Odello. Ci sono voluti sei anni, dice ora Antonio Gozio, presidente delle Distillerie Franciacorta per riunire tutte queste competenze come altrettanti ne ha richiesti il restauro. L'iniziativa ha goduto, con il direttore Federico Castellucci a Borgonato, del patrocinio dell'Oiv (l'Onu del vino) che ha accettato di andare oltre il ristretto mondo della vite e dei suoi distillati. Del resto il prossimo socio Oiv sarà l'India, per dire che il mondo cambia.
Il risultato non ha deluso le attese. Sono state scambiate esperienze scientifiche, studi di mercato e di marketing e persino entusiasmanti racconti di salvataggio delle tipicità territoriali. Un simpaticissimo docente spagnolo ha raccontato che la vera Aguardiente di Galizia è stata salvata dai profumi dalla produzione illegale. L'ancor più simpatico docente brasiliano ha raccontato la ricerca delle piccole pregiate produzioni di Cachaça in un mare di due miliardi di litri prevalentemente di origine industriale. I francesi dell'Armagnac hanno difeso la tipicità dei loro vitigni, sconosciuti (e forse inutili) al di fuori della ristrettissima zona.
La grappa, distillato ospitante, ha avuto mezza giornata per dire i progressi delle ricerca (soprattutto sulla gestione delle vinacce e delle flemme), ma soprattutto per mettere a punto le strategie di marketing per un prodotto cambiato, irriconoscibile forse dagli alpini, ma entrato nei salotti buoni.
E poi si è parlato tanto di territorio (guardando al vino e talvolta anche oltre il vino) con l'annuncio che la grappa italiana (tutta, anche quella del Sud) è a indicazione geografica protetta e che si articolerà (entro il 2015) in ben 38 tipicità diverse. Speriamo di orientarci e di bere meglio.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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