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Carta d'identità per l'Olio Dop del lago di Garda

Presentato a Verona il nuovo metodo di analisi dell'olio di alta qualità: sa dire se è bresciano o veronese
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Prima va al supermercato e compera l'olio che costa meno, pensando che «l'olio è olio» e poi che comunque c'è scritto extravergine. Poi il consumatore si fa venire qualche dubbio quando la Guardia di Finanza sequestra vagonate di olio di solito di provenienza estera «aggiustato» con qualche prodotto chimico. Se l'olio è rimasto al sole perde il colore verde e vira all'ossidato. Facile aggiungere un po'di clorofilla e rimettere le cose a posto. Ma qui si tratta di frodi alimentari belle e buone e persino pericolose per la salute.

L'occasione che si è presentata la settimana scorsa a Verona, dove si è parlato di tracciabilità dell'olio d'oliva ad altissimo livello, è tutta altra storia. Il Consorzio Garda Dop (che ha sede sul Veronese, ma è presieduto dal bresciano di Polpenazze Andrea Bertazzi) da per scontato che l'olio a Denominazione di origine protetta (Dop) sia fatto con olive sane e mature, franto a freddo e conservato con ogni cura. Ma vuole di più. Abbiamo così appreso che il laboratorio può persino dire se l'olio in esame è fatto con olive del Garda Bresciano, del Garda Veronese o in Trentino a Riva del Garda. Distinzione sottile perché tutte le tre zone sono Dop Garda, ma decisiva quando si chiede al consumatore di riconoscere certi prezzi. Il laboratorio è in grado di smascherare anche il frantoio che ha tenuto troppo a lungo le olive accatastate (l'olio al top va franto nel giorno stesso di raccolta) o se l'olio ha preso luce o caldo.
Il progresso della ricerca non finirà mai di stupire. Del resto il Grana Padano da qualche anno è in grado di distinguere il Grana vero da quello falso risalendo da un sacchetto di formaggio grattugiato. Ma si può andare anche oltre. Il presidente del Consorzio Garda Dop ha chiesto che si studino anche le diverse annate che hanno, come esperti e buongustai sanno, andamenti molto diversi.

Perché tutta questa fatica? L'obiettivo è quello di poter esportare anche in Paesi molto esigenti o dove si usano metodi analitici scientificamente non provati che rischiano di declassare un prodotto che è e vuol essere riconosciuto come pregiato.
Il progetto, che si chiama Oligar, è stato realizzato dal laboratorio di biotecnologie dell'Università di Verona e da quello di scienze alimentari dell'Università di Udine. I soldi li ha messi la Regione Veneto sul piano di sviluppo rurale 2007-2013, ma giova ovviamente anche agli oli Dop della sponda bresciana. Peccato che l'olio a denominazione protetta sia poco anche da noi (circa il 10% della produzione gardesana, attorno al 3% della produzione del Sebino). Il motivo è semplice: certificare costa e il consumatore non riconosce alla Dop un prezzo superiore, perciò la proiezione del Consorzio verso mercati (pur sempre di nicchia) più attenti ed esigenti, proprio quelli dove la dieta mediterranea è meno di casa.

Ma ecco qualche dettaglio. Il coordinatore del progetto prof. Zeno Varanini, dell'Università di Verona ha spiegato che con campioni di oli delle campagne 2009/2010 e 2011/2012 sono state effettuate analisi sul contenuto di sostanze contaminanti quali gli ftalati (composti usati nell'industria della plastica i cui residui, secondo alcuni ricercatori, potrebbero avere effetti negativi sulla salute dell'uomo), è stata valutata la qualità del prodotto attraverso l'analisi del contenuto di pirofeofitine e alchil esteri, infine per individuare in maniera inequivoca la provenienza geografica del prodotto sono state fatte analisi isotopiche (per carbonio, ossigeno e idrogeno): con una opportuna banca dati si può ottenere un'accurata tracciabilità alimentare con la possibilità di definire se un olio del Garda è della zona di denominazione trentina, orientale o bresciana e, ovviamente, valutare se un olio è prodotto con olive di altre zone d'Italia o estere.

Gianmichele Portieri

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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