Cucina

Rosati, il Chiaretto ha poco da temere

Dal grande confronto con tutti i rosati dello Stivale, il vino del Garda si colloca tra i migliori. Merito della crescita qualitativa degli ultimi anni. Tra i «concorrenti» spiccano i vini nati ai piedi dei vulcani.
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MONIGA DEL GARDA
La prima notizia uscita da Italia in rosa è: tranquilli, il Chiaretto di Moniga, quello della nostra sponda del lago ha dei gran numeri per farsi valere nel panorama nazionale dei vini rosati. Il Groppello, che è il vitigno principe del nostro uvaggio, si presta a meraviglia e i produttori bresciani hanno affinato la tecnica per avere colori intriganti (nei rosati il colore conta quanto il profumo), vini secchi e non dolciastri (quindi eccellenti da mettere in tavola), una giusta salinità che ne prolunga il piacere e una persistenza che aumenta di vendemmia in vendemmia. In passato il «vino di una notte» affidava la sua serbevolezza ad aiutini tecnici. Non è più così. Il premio è che in quattro anni il nostro Chiaretto è passato da 400mila a un milione di bottiglie. Altro discorso vale per il Bardolino Chiaretto che nasce da uve Corvina e Rondinella raccolte forse con troppa abbondanza a scapito della intensità del vino.
Il premio Molmenti
Il premio Molmenti è andato ad Antonio Leali di Monteacuto, piccola azienda di grande qualità che ha presentato un Chiaretto intenso e salino. Premio ben dato, ma a nostro avviso un pari merito a cinque si ci stava tutto.
E qui basta parlare di Chiaretto perché il tentativo nostro era quello di capire cosa fanno gli altri in un mondo del vino che da tre anni cavalca la moda del rosato senza alcun ritegno: così si fa il rosato con il Gaglioppo, l'Aglianico, lo Syrah, il Sangiovese, cioè i vitigni dei «vinoni» rossi. Che qualsiasi uva rossa vada bene purché vinificata in rosa, è teoria da verificare. Che la tecnica del rosato si impari dalla sera alla mattina è pure da vedere.
A «Italia in rosa» abbiamo cercato qualche verifica, sia pure con qualche difficoltà perché quest'anno i produttori delle altre zone d'Italia hanno mandato il vino (300 campioni tra Moniga e Lazise) ma di massima non si sono fatti vedere. Le informazioni disponibili le abbiamo attinte dalla cortese competenza dei sommelier Ais bresciani ed in particolare al delegato Ais dei Comuni Vesuviani Pasquale Brillante che ha accompagnato le bottiglie della sua zona conoscendole a fondo.
Le sorprese non sono comunque mancate. Il nostro personale premio «Molmenti degli altri» lo daremmo ad un rosato siciliano, anzi dell'Etna. Lo ha proposto l'azienda Feudo Cavaliere e si chiama Millemetri. È prodotto con Nerello Mascalese in purezza. Ha profumi carezzevoli ed una complessità che da un rosato non t'aspetti. Il sicilianissimo Nerello ci fa una gran bella figura. Ma per restare in zona non ci è piaciuto altrettanto il rosato di Syrah di una grande firma. Troppo ruvido per la tipologia. Dev'essere colpa dell'uva perché uno Syrah della Linguadoca francese ci ha lasciato la stessa impressione. Ce lo ha fatto assaggiare Massimo Coghi di Alfa Beta che ha partecipato con una coerente batteria di vini biologici e biodinamici molto spesso interessanti.
Su secondo gradino del podio noi metteremmo Piedirosa, un rosato carezzevole e floreale che nasce alle falde del Vesuvio con l'uva Piedirosso che è l'uva che da vita al Lacryma Christi che è il rosso napoletanissimo dei Campi Flegrei.
Il Piedirosso si può sposare con l'Aglianico come fa Donna Grazia con un risultato garbato. L'Aglianico si può usare da solo come fa Terredora con un risultato di grande impatto sia al naso che in bocca, deludendo un po' nel finale. Va ricordato che l'Aglianico è il vitigno che da vita al Taurasi che tutto è meno che garbato. Va anche detto che Terredora è l'azienda di Walter Mastrobernardino, nata dopo la divisione tra i celebri fratelli del vino campano e internazionale. Della Toscana abbiamo provato il rosato dell'azienda Fontemorsi (ha proprietà bresciana) che vinifica il Sangiovese con la tecnica del salasso (in uso in Toscana come in Piemonte). Ha una bella intensità e un piacevole finale salino. Migliorabile forse il colore.
Da quella parti si può fare il rosato con l'Aleatico toscano che è uva aromatica. Noi abbiamo provato l'Aleatico di La Piana che viene da uve coltivate sull'isola del Giglio con non poche difficoltà ambientali. Si stacca dagli altri perché è un tripudio di fragoloni, ma anche decisamente dolce, tipico da fine pasto.
Se vi diciamo che in Alto Adige andate sul sicuro ci credete? E fate bene. Uno per tutti è le Rosalie della Cantina vini di Merano: profumato nella misura giusta, morbido e soprattutto lunghissimo. L'uvaggio non è dichiarato.
Chiudiamo con Ceci, grandissimo produttore di Parma che ha il merito di avere portato il Lambrusco ai piani alti della qualità. Ha proposto Otello rosato frutto di Lambrusco e Pinot nero e Rosé brut dove il Lambrusco sposa il Sangiovese. In entrambi i casi si tratta di vini spumanti in cui prevale su tutto la freschezza. Se vanno forte in discoteca c'è da crederlo.

Gianmichele Portieri

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