L’avvocata: «La paura di venire disonorate prevale su ogni cosa»

Originaria del Punjab e di casa in Italia da quando era bambina, Harpreet Kaur, 33 anni, è l’avvocata indiana di Brescia che difende i diritti delle donne. Rispetta le sue origini, ammette che hanno influenzato molte sue scelte e per suo figlio, che adesso ha tre anni, immagina un futuro di libertà, senza condizionamenti.
L’abbiamo intervistata a margine della vicenda delle due sorelle pachistane picchiate, e poi tratte in salvo, per aver rifiutato un matrimonio combinato.
Cosa significa nascere in un Paese e vivere in un altro?
Vuol dire mediare la cultura d’origine, quella dei genitori, con la cultura del Paese ospitante. Non è facile: anche quando si è consapevoli che i familiari stanno sbagliando al punto da non rispettare diritti fondamentali che si conoscono e amano prevale la volontà di rispettare la cultura d’origine per paura di venire disonorate dai genitori e dalla comunità. Mamma e papà hanno, infatti, una grandissima influenza.
Lei in Italia si è laureata ed è stata una delle prime avvocate indiane a esercitare nel nostro Paese. In quali scelte ha subìto il condizionamento della sua cultura d’origine?
I miei genitori hanno appoggiato il mio percorso di studi e sono felici che io sia una avvocata. Ma da ragazza, ai tempi del liceo, non avrei mai chiesto a mio padre di poter uscire la sera. Ho sposato per amore un uomo di origine indiana della mia stessa casta e sono sicura che se fosse stato di una casta inferiore ci sarebbero stati dei problemi. Nel nostro matrimonio sono state rispettate la tradizione della dote e della casa: i genitori di mio marito abitano, infatti, con noi. Quando ne parlo, per esempio con i colleghi italiani, capisco che qui la cosa è inconcepibile, per gli indiani invece è normale.
Come funzionano i matrimoni in India e Pakistan?
Esistono due tipi di matrimoni. Ci sono quelli combinati: la famiglia trova un pretendente e lo propone alla figlia. E quelli d’amore, ma non è detto che il fidanzato scelto venga accettato automaticamente dai genitori. Dipende, infatti, dalla casta a cui appartiene. Se questa è inferiore la ragazza può dover lasciare la famiglia, ed essere disonorata, o lasciare il fidanzato. Oppure fuggire e nascondere la verità ai parenti. Succede anche a ragazze di origine indiana e pakistana che vivono in Italia. In India, inoltre, è vietato sposare uomini dello stesso villaggio. Mia cugina l’ha fatto e i genitori l’hanno cacciata.
Per lavoro si è mai dovuta occupare di queste situazioni?
No, ma più volte ho difeso mogli di origine indiana o pakistana che denunciavano il marito per maltrattamenti. Il più delle volte si è trattato di donne poco istruite e poco inserite nel nuovo contesto. E di uomini arrivati in Italia per lavoro a 25-30 anni. Quelli cresciuti qui, invece, hanno fortunatamente un’altra idea dei rapporti familiari. Purtroppo in molti casi le donne ritirano la denuncia: si lasciano condizionare dal fatto di non avere disponibilità economica e considerano il marito come una guida, nonostante i maltrattamenti.
E, poi, come va a finire?
Il marito ha paura della legge. Il timore di andare in carcere o di perdere i documenti in alcuni casi lo fa comunque desistere.
Lei ha un figlio di tre anni, cosa vede nel suo futuro?
Vedo libertà. Io sono indiana perché sono nata in India, ma non so se ci tornerò. Non ci vado da 15 anni. Voglio che cresca in libertà, senza condizionamenti dalle caste o dalla religione.
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