Strage piazza Loggia, Tobagi: «Finalmente finisce l’impunità»

Benedetta Tobagi, scrittrice, giornalista, esperta di terrorismo e figlia del giornalista Walter ucciso nel 1980 da un commando di estrema sinistra, proprio il 28 maggio, legge la sentenza in un contesto di un cambio di passo dello Stato.
Cosa significa questa sentenza secondo lei nel contesto della storia del terrorismo in Italia?
«Si inquadra, come le altre importanti condanne intervenute negli ultimi anni nei processi le stragi di terrorismo di matrice neofascista, come momenti che hanno un grande valore storico. Dobbiamo ricordarci che in queste stragi, anche nella strage di Brescia, purtroppo si è avuta una lunghissima stagione di impunità dovuta a depistaggi e coperture. Questa sentenza ci dice, ancora una volta, che è finita l’impunità. E rafforza un quadro di conoscenze che a lungo è stato negato ai cittadini».
Con questa sentenza una verità giudiziaria certifica quella che è già una verità storica. L'Italia ne ha bisogno?
«Questi non sono solo fatti storico. Sono reati imprescrittibili. Stiamo parlando di stragi di civili innocenti. La conoscenza è importante e deve essere valorizzata anche dove non ci sono le condanne perché riguarda importanti abusi di potere che sono stati compiuti sotto la forma dei depistaggi . Ma il fatto giudiziario è fondamentale perché il dato che la giustizia penale continui faticosamente a fare il suo corso è decisivo per ribadire che la legge è uguale per tutti. Questo ha un significato. E lo abbiamo visto con la condanna di Maggi, che era anziano e ammalato, che non c’è stato accanimento, non ha fatto un giorno di carcere. Non c’è vendetta».

Come si legge una sentenza di condanna dopo quasi 51 anni in una Italia che è completamente cambiata?
«Questo pone delle domande. Io ho ben presente la città di Brescia raccolto attorno al presidente della Repubblica in occasione del 50esimo anniversario nel 2024. In quella circostanza non è venuta una parola dal mondo politico di destra rispetto al significato di una strage in cui era stato condannato Carlo Maria Maggi che oltre ad essere stato regista di Ordine Nuovo era stato candidato alle politiche del 1972. Sarebbe stato importante sentire una parola, non generica, ma specifica rispetto a questa ferita».
Per arrivare a questo risultato è stato determinante l'impegno costante dei familiari delle vittime. Era l'unica strada possibile?
«Le famiglie, insieme a tanti cittadini, si sono attivate in anni in cui il meccanismo dei depistaggi era ancora attivo in modo vigoroso. Bisogna ricordare che la pista di Ordine Nuovo avrebbe potuto essere presa dagli inquirenti già nell’agosto del 1974 se un generale non avesse mentito smentendo dei documenti che lui stesso aveva firmato. Io rispetto agli ultimi anni mi sento di dire che c’è stato un cambio di passo dello Stato.
Per Brescia abbiamo avuto un contributo della Cassazione che è stato determinante per arrivare alle condanne di Maggi e Tramonte, abbiamo avuto magistrati e operatori di polizia giudiziaria, che hanno dato contributi importantissimi. L’impegno di famiglie e cittadini è stato una costante, lo Stato, fortunatamente, ha mostrato a Brescia ma penso anche ai due processi di Bologna, che ci sono persone che hanno ritenuto che questa fosse una verità importante per tutti».
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