Strage piazza Loggia: il giudice manda a prendere Toffaloni

Il presunto esecutore materiale vive in Svizzera, finora non ha accolto l’invito a presentarsi in aula a Brescia e non rischia il carcere. È però presto per dire che destino avrà il provvedimento
Marco Toffaloni: il giorno della strage non aveva ancora 17 anni
Marco Toffaloni: il giorno della strage non aveva ancora 17 anni
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Lo ha invitato più volte. Anche attraverso il suo avvocato ha cercato di fargli arrivare il messaggio che la sua presenza a Brescia, in aula, al Tribunale per i minorenni era opportuna. Anche, per non dire soprattutto, nel suo interesse. Sino ad ora Marco Toffaloni, che vive in Svizzera almeno dagli Anni ’90 e che all’anagrafe elvetica è registrato come Franco Maria Muller, non ha né accettato, né declinato l’invito. Non ha risposto proprio. A fronte di tanta attesa, in conclusione dell’udienza che si è celebrata ieri e nel corso della quale tra gli altri è stata sentita anche sua sorella Margherita, il presidente del Tribunale Federico Allegri ha firmato un’ordinanza con la quale dispone il suo accompagnamento coattivo in aula.

Nel processo minorile, a differenza di quello ordinario, nel quale l’imputato non può essere obbligato a comparire, a meno che la sua presenza non sia necessaria per assumere una prova che non sia il suo esame, il tribunale può chiedere che il minore accusato di un reato sia prelevato dal posto in cui si trova e portato in aula. Toffaloni, minore non è più, ma lo era all’epoca della Strage di piazza della Loggia, della quale è accusato. Sta affrontando un processo minorile, con tutti gli annessi e i connessi.

L’iter

E ora? Che destino avrà il provvedimento del giudice è presto per dire. Il fatto che Toffaloni, oggi 67enne, sia cittadino svizzero non rende la pratica particolarmente agevole. L’iter prevede che l’autorità giudiziaria italiana comunichi la sua decisione a quella elvetica e che questa decida se e come eseguirla, se e quando portare l’imputato in aula, in via Vittorio Emanuele, a Brescia.

Marco Toffaloni non è destinatario di misure cautelari. Non è inseguito da un ordine di carcerazione. Potrebbe decidere di venire a Brescia in autonomia, di seguire le udienze del processo che lo riguarda in prima persona, intervenire, ma anche starsene zitto e, una volta finito il processo liberamente tornarsene a casa. Dove viva e cosa stia facendo il neofascista veronese, passato alla storia dell’eversione nera con il nomignolo di «Tomaten» per la sua propensione ad accendersi di botto, diventare rosso come un pomodoro e particolarmente violento, se non è un mistero, non è certo un’informazione agevole da recepire.

Stando alle ultime informazioni raccolte sul suo conto, Toffaloni non sarebbe più sposato con la donna di nazionalità svizzera della quale ha acquisito la cittadinanza, e non svolgerebbe più alcuna attività lavorativa, dopo averne svolte differenti in passato: dall’assicuratore, al cameriere in pizzeria. Fino a non molto tempo fa «Tomaten» viveva nel cantone di Sciaffusa, a nord di Zurigo. In Svizzera sostengono si sia ritirano in una cascina isolata tra i monti e frequenti la civiltà solo lo stretto indispensabile.

Le prove

Secondo l'accusa, Toffaloni si trovava in piazza Loggia la mattina del 28 maggio 1974 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Secondo l'accusa, Toffaloni si trovava in piazza Loggia la mattina del 28 maggio 1974 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Contro di lui gli inquirenti sino ad ora hanno raccolto diversi elementi di prova. I più significativi sono rappresentati dalle dichiarazioni di Gianpaolo Stimamiglio, l’ordinovista che disse di averlo incontrato alla fine degli Anni ’80 in un motel di Peschiera e di aver appreso proprio dalla sua voce che aveva avuto un ruolo nella Strage del 28 maggio 1974; l’esame antropometrico di una fotografia, in virtù del quale l’accusa è convinta fosse in piazza Loggia subito dopo l’esplosione della bomba; la testimonianza di Ombretta Giacomazzi, che lo descrive al centro delle riunioni nelle caserme di Verona dove neofascisti, servizi deviati e «americani» mettevano a punto la «strategia della tensione», ma anche le parole di un vicino di casa, secondo cui il padre di Toffaloni non faceva mistero che il figlio aveva avuto un ruolo nell’attentato. Accuse davanti alle quali ora «Tomaten» non è più solo invitato a comparire. Ma costretto.

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