Strage di piazza Loggia, i familiari delle vittime: «Come navi nella tempesta cerchiamo ancora giustizia»
Occhi lucidi e mani tremanti, visi solcati dalle lacrime e passo lento. Tutti faticano a trovare le parole per esprimere il proprio dolore. Fanno di tutto per restare ai margini dei riflettori delle celebrazioni per il 50esimo anniversario della Strage di piazza Loggia (qui potete vedere la diretta integrale realizzata da Teletutto) ma, quasi per spirito civico, provano a raccontare per qualche minuto drammi personali che poi si sono fatti collettivi.
Lo fa Beatrice Bazoli, per la prima volta dopo la scomparsa della madre Giulietta Banzi Bazoli, lo fa Ugo Talenti (figlio di Bartolomeo), lo fa Nunzia Pinto (sorella di Luigi), lo fa Arnaldo Trebeschi (fratello di Alberto).
Alcuni di loro in questi anni sono rimasti in silenzio - troppa la sofferenza per trasformare in parole i pensieri. Molti neppure si conoscono, si incontrano per la prima volta intorno al grande tavolo della sala giunta in Loggia. Eppure sembrano essere legati da un unico lungo filo: non è solo la tragedia personale, è soprattutto la plastica espressione del male subito sulla propria pelle.
Dolore mai sopito
Nunzia Pinto cede alle lacrime non appena pone quel 28 maggio sullo spartito della sua memoria. E usa un’immagine turbolenta per raccontare quella giornata: «Una barca in mezzo a un mare in tempesta».
Suo fratello non morì subito, furono giorni di agonia: «Giornate trascorse in ospedale, perché Luigi ha vissuto fino al primo giugno, ricordo l’attesa di notizie, d’altronde si spera sempre. Ma mio fratello aveva profonde ferite di una guerra non dichiarata».
Arnaldo Trebeschi era in piazza quel 28 maggio, ma lontano dal palco. Lui si è salvato, il fratello Alberto no. «Non ho seguito le parole di Giorgio Leali che invitava i lavoratori ad andare sotto al palco. Sono andato dalla parte opposta, non so neppure perché io lo abbia fatto».
Ugo Talenti, invece, aveva solo 22 anni quando ha perso il padre: «Avevo un appuntamento con mio papà il pomeriggio stesso, ma ho saputo tutto sentendo la radio. Sono immediatamente corso da Erbusco fino in città facendo il giro di tutti gli ospedali, senza trovarlo. Solo dopo qualche ora mi hanno detto al telefono che era morto. Sono andato al cimitero Vantiniano e l’ho trovato lì».
Rabbia
Ora, a distanza di mezzo secolo, resta la rabbia. «Dopo 50 anni quel dolore non passa - dice Nunzia Pinto -. Nonostante questa città sia stata ferita ha comunque creato tanta bellezza, eppure non so se tutto questo mi ripaga».
Diverse parole, ma stesso leitmotiv per gli altri parenti, feriti anche dal percorso giudiziario. «La rabbia c’è sempre, basti pensare che dopo 50 anni ci sono ancora processi», si limita a dire Ugo Talenti. Arnaldo Trebeschi parla invece di mezzo secolo «fatto di parole, congetture, ipotesi ma spesso ci si dimentica che una verità accertata ce l’abbiamo. L’importanza del ricordo parte da lì, il resto è solo retorica».
E, oggi come allora, si chiedono verità e giustizia. «L’importante è che vengano concluse le ultime due inchieste in atto - conclude Trebeschi -. È importante sapere se Toffaloni e Zorzi siano colpevoli o innocenti».
L’incontro
Insieme ai familiari, anche i sopravvissuti hanno incontrato la sindaca Laura Castelletti e, al teatro Grande, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ascoltare le microstorie di chi è scampato alla morte quel 28 maggio permette di apporre altri tasselli al composito puzzle della Strage. Enzo Romani, ad esempio, non aveva l’ombrello e per ripararsi dalla pioggia si è avvicinato alla colonna dei portici: «Ho visto un lampo, sono volato in aria e mi sono ritrovato steso a terra. In ospedale ci sono rimasto 21 giorni, durante i quali mi hanno rimosso diverse schegge di ferro. Una la porto ancora nel petto».
Beppe Montanti, invece, era un giovane manifestante iscritto alla Cgil arrivato in autostop da Orzinuovi per assistere alla manifestazione in programma in piazza Loggia: «La settimana prima un giovane fascista era saltato in aria su un motorino perché trasportava una bomba. Andai in piazza per quello: rimasi ferito alla testa e alla schiena da alcune schegge».
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