Silvio Bonfigli lascia Brescia: da oggi è procuratore capo a Cremona

Una prima volta, duplice. Per Silvio Bonfigli arriva oggi. Il procuratore aggiunto della Repubblica di Brescia proprio oggi diventa procuratore capo e, sempre da oggi (e sempre per la prima volta in carriera), si troverà a fare il magistrato lontano da Brescia. A tenere a battesimo il traguardo doppio è la procura di Cremona, della quale il magistrato nato a Sassari 62 anni fa e partito da Sassari alla volta del mondo alla fine degli anni ’80, diventa da oggi capo. «A Brescia ho vissuto anni straordinari – dice Bonfigli –: sia sotto il profilo del lavoro, che del rapporto con i colleghi, con gli aggiunti e con il capo. Abbiamo operato sempre sulla stessa lunghezza d’onda e andarmene sicuramente mi intristisce. Del resto l’ho scelto io e sono certo che anche a Cremona mi troverò bene».
La carriera
Negli ultimi dodici anni a Brescia, dove continuerà a vivere, Bonfigli è stato sostituto in Procura generale (quando era retta da Guido Papalia e poi da Pier Luigi Maria Dell’Osso) e aggiunto in Procura. Tre in particolare le inchieste rilevanti che portano la sua firma: quella sulla fase esecutiva della strage di piazza della Loggia, quella sull’inquinamento della Caffaro e sull’omicidio di Mario Bozzoli, che si è conclusa nel luglio scorso con l’ergastolo definitivo a Giacomo Bozzoli.

«Quest’ultimo è stato un processo indiziario puro, difficilissimo e drammatico – spiega Bonfigli – come drammatica è stata la conclusione: l’ergastolo è certamente pesantissimo per chi lo subisce, ma anche per chi lo chiede. Quanto a piazza Loggia e Caffaro mi ero preso l’impegno di portare questi annosi fascicoli a processo e, grazie al lavoro di colleghi preparati e scrupolosi, ce l’abbiamo fatta. Vedremo gli esiti. Ho sempre interpretato il mio ruolo al servizio della funzione e della comunità, in questo caso della comunità bresciana. La lascio contento di aver mantenuto fede agli impegni presi».
Quello di ieri non è il primo addio a Brescia. Silvio Bonfigli, che in realtà si vedeva analista finanziario e alla carriera da magistrato fu di fatto guidato dal padre, nella nostra città ci era arrivato la prima volta nel 1992, dopo il tirocinio a Bologna. Risalì l’A21 nel pieno di Mani Pulite e delle indagini dirottate a Brescia per competenza sul pool e in particolare su Di Pietro. Venne lanciato in quella mischia appena trentenne.
Soddisfazioni e rimpianti
«Al fianco di Fabio Salamone, e per fortuna – ricorda il neo procuratore di Cremona –: furono anni intensissimi. Peraltro non indagammo uno qualsiasi, ma il collega più in vista del momento. Interrogammo tutti: da Andreotti a Berlusconi. Con Fabio si riusciva anche a scherzare: dicevamo sempre che ci mancava da sentire solo il Sommo Pontefice. Fu un’esperienza particolarmente formativa, indipendentemente dall’esito, e tanto assorbente al punto da contribuire alla mia scelta di chiamare un lungo time out dalla magistratura».

Nel 1999, alla fine di quell’ondata di inchieste, Bonfigli chiede ed ottiene dall’allora procuratore capo Giancarlo Tarquini, l’aspettativa dalla toga e inaugura la seconda fase della sua vita professionale. Valigia alla mano passa dall’Ocse a Parigi, all’Alto commissariato anti corruzione a Roma; dalla Commissione anti terrorismo sempre a Roma, a Banja Luka e Sarajevo per aiutare la Bosnia Erzegovina a ricostruirsi anche un sistema giudiziario. Tredici intensi anni, dal 1999 al 2012. Un viaggio andata e ritorno da e per Brescia dove, proprio nel 2012, inizia la sua seconda vita da magistrato, quella che oggi volta pagina, con diverse soddisfazioni e un solo rimpianto.
«Tra le prime ci metterei anche quelle raggiunte sotto il profilo organizzativo dall’ufficio – spiega Bonfigli – da quando nel 2019 sono passato dalla Procura Generale alla Procura della Repubblica e da quando sono stati nominato responsabile della Divisione affari semplici dal dottor Nocerino posso dire di aver contribuito ad un progetto che ha consentito ad ogni singolo magistrato di smaltire un numero rilevantissimo di fascicoli. Siamo riusciti a portare la giacenza da 40mila a 16mila pratiche, ma soprattutto a dare giustizia in maniera più celere a chi giustizia ci chiedeva». L’unico rimpianto attiene alla sfera professionale personale. «Non aver fatto esperienza nella magistratura giudicante – conclude –: mi sarebbe piaciuto, ma ormai non c’è più tempo. Lo dico sommessamente, ma con la separazione delle carriere, tema quanto mai attuale, si rischia di perdere l’osmosi tra esperienza giudicante e requirente cui si deve il meglio della nostra cultura giudiziaria. Un patrimonio da non disperdere che ha formato magistrati e giudici di livello assoluto».
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