Sergio Ramelli, la storia dello studente milanese ucciso nel 1975

Sergio Ramelli nacque a Milano il 6 luglio 1956. Figlio unico, viveva con la madre Anita Pozzoli e il padre Lino in città. Frequentava l’istituto tecnico industriale «Ettore Molinari», dove studiava chimica industriale. Era un grande tifoso dell’Inter e giocava nella squadra di calcio del quartiere in cui abitava.
Il contesto politico
La storia di Sergio Ramelli si intreccia con quella della Strategia della tensione. Gli anni Settanta in Italia come furono caratterizzati da scontri e violenze tra gruppi di estremisti di destra e di sinistra. Dai rapimenti e dalle uccisioni delle Brigate Rosse e dalle stragi neofasciste.
Ramelli era politicamente attivo nel Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano (Msi), erede del Partito fascista. Nell’istituto frequentato dallo studente si verificarono diverse manifestazioni, ma non mancarono anche scontri tra le formazioni politiche di allora. Nella scuola Ramelli era il referente – o fiduciario – del Fronte della gioventù, ma non si era mai fatto notare per fanatismo e non aveva precedenti penali. Era conosciuto dall’ufficio politico della Questura per affissione abusiva.
Ramelli scrisse un tema scolastico in cui condannava l’operato delle Brigate Rosse, attirandosi l’ostilità della sinistra extraparlamentare dell’istituto Molinari. Il tema venne sottotratto al professore e affisso su una bacheca scolastica. Lo studente venne tacciato di fascismo e nei suoi confronti si scatenò un clima provocatorio, generato da estremisti di estrema sinistra. Fu minacciato e aggredito e si ritirò dalla scuola.
L’agguato e la morte
La sera del 13 marzo 1975, Sergio Ramelli fu aggredito mentre tornava da scuola da un gruppo di estremisti di sinistra vicini ad Avanguardia operaia. Lo studente parcheggio il suo motorino poco distante dalla sua abitazione in via Amadeo da Milano e mentre percorreva via Paladini venne assalito e colpito ripetutamente con una chiave inglese tipo Hazet da 36 mm. Il giovane fu trasportato d'urgenza all'Ospedale maggiore dove venne operato. Ramelli alternò periodi di coma ad altri di lucidità e morì il 29 aprile 1975, 47 giorni dopo l’aggressione.
Le indagini e il processo
Inizialmente la questura indagò alcuni studenti del Molinari, ritenuti però estranei ai fatti. Le indagini rimasero poi in stallo finché gli inquirenti, dopo il pentimento di alcuni esponenti bergamaschi di Prima Linea, trovarono in un covo di viale Bligny anche le foto di Sergio Ramelli. Grazie ad alcuni nomi rilasciati dai pentiti, le indagini proseguirono analizzando la formazione di Avanguardia Operaia nel 1975.
Nel 1987 inizia il processo contro i membri di Avanguardia Operaia. Claudio Colosio, Franco Castelli, Giuseppe Ferrari Bravo, Luigi Montinari, Walter Cavallari, Claudio Scazza, medici praticanti in varie discipline e studenti all'epoca dei fatti; a cui si aggiunsero: Marco Costa, che con Ferrari Bravo gestiva l'archivio segreto; Brunella Colombelli, ricercatrice, unica donna tra gli accusati; Giovanni Di Domenico, al momento dell'arresto consigliere di Democrazia Proletaria a Gorgonzola e Antonio Belpiede, capogruppo del Pci a Cerignola.
Secondo gli inquirenti gli aggressori sarebbero stati Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo. Alcuni degli imputati vennero processati anche per altri reati, come tentati omicidi e rapine. Nel 1987 la II Corte d’Assise di Milano assolse Di Domenico e dichiarò Cavallari estraneo ai fatti. Tutti gli altri imputati furono ritenuti colpevoli di omicidio preterintenzionale. Marco Costa fu condannato alla pena di 15 anni e 6 mesi di reclusione; Giuseppe Ferrari Bravo a 15 anni, entrambi per aver materialmente colpito Ramelli. Claudio Colosio fu condannato a 15 anni; Antonio Belpiede a 13 anni; Brunella Colombelli a 12 anni per aver indicato al commando di Avanguardia Operaia il luogo e l'ora in cui colpire; Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari a 11 anni.

Il pubblico ministero fece ricorso perché il giudice aveva rigettato l’accusa di omicidio volontario. Nel 1989 la II sezione della Corte d’assise d’appello accolse la richiesta ma riconobbe anche l’attenuante del concorso anomalo che ridusse le pene. Costa passò da 15 anni a 11 anni e 4 mesi; Ferrari Bravo da 15 anni a 10 anni e 10 mesi; 7 anni e 9 mesi a Colosio invece che 15 anni; 7 anni invece di 13 a Belpiede; 6 anni e 3 mesi a Castelli, Colombelli, Montinari e Scazza rispetto agli 11-12 iniziali. La I sezione della Corte di Cassazione rigettò un nuovo ricorso e confermo le sentenze di secondo grado.
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