Riconoscere il burnout: segnali, fattori di rischio e strategie

Non è una malattia, ma una sindrome (ossia un complesso di sintomi). Il burnout, lo stress cronico associato al contesto lavorativo, può però essere un fattore di rischio di una condizione patologica caratterizzata da ansia, depressione e insonnia. A farlo notare è il prof. Antonio Vita, direttore del dipartimento di Salute mentale e delle dipendenze del Civile e docente ordinario dell’Università di Brescia.
I tre elementi da tenere monitorati
I tre elementi che caratterizzano la sindrome sono: «L’esauribilità, definibile come la perdita di energia fisica e mentale tale da portare la persona a sentirsi esausta; il senso di distacco che si matura nei confronti del proprio lavoro arrivando a percepirlo negativamente e a criticarlo. E, terzo elemento, la perdita di efficienza e rendimento con conseguenze importanti sui risultati». Ciò che generalmente ne deriva è un «circolo vizioso»: si lavora male, calano ancora di più le occasioni di gratificazione, peggiorano le relazioni con i colleghi e gli utenti, si creano maggiori situazioni conflittuali, si percepisce frustrazione.
All’origine di questa sindrome ci sono fattori personali e di contesto, ovviamente lavorativo. Tra i primi il prof. Vita cita ad esempio, «la rigidità. Il rischio burnout è più alto tra i soggetti che si pongono grandi obiettivi lavorativi, danno molto e hanno aspettative elevate. Più predisposti sono inoltre i single e, più in generale, coloro che non hanno forti interessi o supporto familiare e sociale». Tra gli elementi del contesto professionale che possono portare i dipendenti a «scoppiare» il professore fa riferimento a «situazioni conflittuali, aspetti organizzativi che non funzionano, problemi di comunicazione, compiti non chiari e obiettivi irrealizzabili».
Come intervenire
Le risposte del contesto, in tutto ciò, sono fondamentali: per prevenire, intercettare eventuali disagi e attivare forme di supporto «nel nostro ospedale disponiamo, ad esempio, di un programma per il benessere psicologico degli operatori». Quello della sanità, tra l’alto, è uno dei settori più a rischio burnout, insieme a quelli dell’assistenza e della difesa: ad essere particolarmente esporti al problema sono, ad esempio, i medici, gli infermieri, i poliziotti, i vigili del fuoco e i docenti. Risolvere situazioni di questo tipo si può: bisogna intervenire sia dal punto di vista organizzativo (rispettando le esigenze dei dipendenti, migliorando la comunicazione, fissando obiettivi che davvero si possono raggiungere...), sia personale «con l’ascolto e il supporto. In alcuni casi serve un lavoro di tipo psicologico; si può arrivare anche ad attivare un percorso psicoterapeutico». «Una risposta importante - conclude - consiste nel recupero del tempo. Oggi viviamo in preda alla velocità. E questo può portare tensione e senso di mancanza di tempo. Siamo abituati che tutto debba accadere in modo molto rapido. Aumenta, così, la nostra percezione dello stress».
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