Regione, Del Bono: «Costituito il tavolo con tutte le opposizioni»

Primo: si parla di «Lombardie» e non di «Lombardia» al singolare, perché ogni territorio ha la sua specificità, i suoi problemi e deve quindi poter ricevere risposte e proposte centrate. Secondo: presenzialismo. Si va dappertutto e si parte dai luoghi più piccoli e più dimenticati, quelli che vengono chiamati «le Lombardie abbandonate». Terzo: si lavora e si avanza, politicamente, uniti in un «campo larghissimo» (il timbro lo ha impresso la prima riunione della settimana scorsa) che vede già seduti allo stesso tavolo del Pd sia Azione, Iv e +Europa sia il Movimento 5 stelle e la Sinistra.
La coalizione regionale di centrosinistra ha disegnato l’assetto in vista del prossimo appuntamento elettorale: il documento prevede di partire con il «Laboratorio Lombardia 2028» (o, se Roma deciderà di giocare d’anticipo, 2027) scavalcata l’estate, vale a dire all’inizio di ottobre. La leadership di questo cammino è nelle mani del vicepresidente del Consiglio regionale, ed ex sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, candidato presidente in pectore della coalizione determinata a interrompere l’egemonia del centrodestra a Palazzo. Un ruolo, quello di coordinatore del Laboratorio, che sarà ufficializzato il 20 settembre all’Assemblea regionale del Partito democratico.
Del Bono, il lavoro è iniziato in largo anticipo...
Sì, si è costituito il tavolo che racchiude tutte le opposizioni della Lombardia: continuerà a riunirsi e io parteciperò come presenza costante.
Significa automaticamente candidatura alla presidenza?
Non automaticamente: ora avrò la funzione di coordinamento. Nel 2027 si chiuderà la partita del perimetro della coalizione e della scelta della leadership. Questo percorso ha esattamente come finalità di prepararsi per tempo.
Secondo lei per vincere è sufficiente partire presto?
Assolutamente no, ci devono essere tre condizioni per potercela giocare. Uno: avere un buon programma alternativo di governo e, quindi, non essere percepiti solo come forza di opposizione. Significa avere forti relazioni con la società civile e questo è il compito dei prossimi due anni e mezzo di Laboratorio, che non ha solo una funzione programmatoria, ma anche di costruzione di reti e di relazioni. Due: a fianco alla coalizione ci dev’essere una forte lista civica del presidente. Tre: altra condizione necessaria è stare tutti uniti.
Quindi campo larghissimo di centrosinistra, sul «modello Brescia», o si perde?
Diciamo che bisogna ricordarsi come funziona il sistema elettorale: come il centrodestra sta unito nonostante le divisioni, allo stesso modo noi dobbiamo essere compatti.
Che ruolo avrà la civica?
Saranno dodici liste provinciali del presidente. L’obiettivo è che vadano a intercettare quel pezzo di società lombarda che evidentemente non ci ha votato in passato.
Cosa pensa dell’ipotesi del voto anticipato al 2027?
Ci credo poco. Penso più ragionevole la concomitanza tra le Politiche e le Comunali di Milano. Includere la Lombardia significherebbe sciogliere il Consiglio regionale prima. E sarebbe una dichiarazione di fallimento ulteriore della Giunta Fontana.
Perché il centrosinistra perde sempre in Lombardia?
È in parte un fatto culturale: il centrosinistra deve tornare ad essere percepito come forza di governo capace di guidare i processi complessi.
Nelle città, però, è già così...
Perché c’è una densità diversa e perché una volta che arriviamo a governare riusciamo tendenzialmente a consolidare quei voti.
Avete un problema di comunicazione con i territori della provincia?
Nella parte meno densamente popolata i processi di cambiamento vengono avvertiti più con timore che come opportunità: è lì che noi ora dovremo essere rassicuranti e fare capire che siamo in grado di gestire i fenomeni complessi. Il messaggio è: cara Lombardia, ti puoi fidare di noi.
Del centrodestra invece la Lombardia non si può fidare?
Assolutamente no. Il grande tradimento è evidente: le forze politiche di centrodestra, che più hanno parlato di federalismo, sono quelle che si sono dimostrate più centraliste. In Regione oggi c’è un’idea di sudditanza dei territori.
Sudditanza?
Sì, ai territori si elargiscono risorse quasi come se fossero concessioni del sovrano. È una piramide che va rovesciata: questa è una delle ragioni dell’inefficienza della Lombardia.
Quali sono le altre?
Oggi la Lombardia pesa poco. Non ha più né leadership di governo territoriale, né gestionale. Non siamo più un punto di riferimento su nulla: non sulla sanità, non sulla mobilità, neppure sull’efficienza, perché non siamo neppure in grado di spendere i fondi, né quelli europei né quelli in cassa.
Si riferisce ai dieci miliardi di avanzo non spesi?
Sì: dal 2014 stiamo accumulando oltre 10 miliardi di avanzo, di cui 8 sulla sanità. Quelli sono soldi che la Regione ha impegnato ma che non ha mai speso e quindi non sono mai entrati nell’economia reale. E questo perché c’è un altro problema gigantesco: la burocrazia e l’incapacità di legiferare.
La macchina è inefficiente quindi?
Siamo ottavi su 12 per capacità di spesa: lo dice la Corte dei Conti in relazione ai fondi europei, che siamo incapaci di spendere. Quando una Regione frena, si ingrigisce e smette di fare una legislazione di qualità è la società che ne risente.
Addio titolo di «locomotiva del Paese»?
L’inefficienza si paga. E si vede nella quotidianità: un terzo delle prestazioni sanitarie sono costretti a pagarle i cittadini. Queste sono tutte spie di un sistema che è andato in cortocircuito. La macchina va rimessa in equilibrio dal punto di vista sia dell’efficienza sia dall’equità. Bisogna sistemare il problema delle diseconomie.
Cita l’assessore Bertolaso?
Certo, lo ha detto lui: quando non si pianifica o si pianifica in modo frammentato, si diventa dispersivi e inefficaci. Vale per la mobilità, la sanità, il socio-sanitario, la programmazione territoriale, il commercio, le imprese. E si vede...
Fin qui la bocciatura. Ma qual è la proposta alternativa?
Saranno tutti temi che affronteremo nel Laboratorio. E le proposte arriveranno lì: la strada è ancora lunga...
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