Rap e strada, specchio di un disagio ignorato

Il disagio giovanile lo guarda negli occhi tutti giorni. Eppure il suo motto continua ad essere «Non esistono i cattivi ragazzi». Don Claudio Burgio è il cappellano del carcere minorile Beccaria, dove ieri sono entrati alcuni degli arrestati nell’ambito della maxi inchiesta a livello nazionale sulla delinquenza giovanile.
Don Burgio, il carcere è la soluzione?
Da sempre dico che non è un sistema che produce vera riabilitazione. È un sistema per sua stessa natura violento e quindi soprattutto in adolescenza il carcere rischia anche di dare un’identità, un processo di etichettamento che poi favorisce un’identità negativa, per cui molti ragazzi entrano in carcere come se questo desse loro consistenza. Quindi una narrazione delinquenziale offre loro un paradigma nel quale ritrovarsi, identificarsi. È chiaro che ci vorrebbero più misure alternative di vera e propria inclusione, soprattutto sul territorio. Però devo dire che in questo momento la politica è un po’ da un’altra parte, per cui il problema dei ragazzi è sempre minore in tutti i sensi.
Siamo davvero davanti ad un’escalation di delinquenza giovanile o è qualcosa che c’è sempre stato?
C’è sempre stato. Oggi però c’è una narrazione mediatica sempre più consistente. In realtà c’è sempre stato, non è cambiato nulla. Certamente forse è cambiata la gravità dei reati, che rispetto ad un tempo sono molti di più contro la persona. I numeri però sono sempre quelli e soprattutto c’è un fenomeno oggi molto evidente al nord Italia, che è quello dei minori stranieri non accompagnati, che è un fenomeno che certamente per qualche anno non c’è stato, almeno in maniera così esponenziale. Per cui oggi le carceri minorili sono abitate prevalentemente da questi ragazzi: al Beccaria per esempio, costituiscono l’87% dei giovani accolti. Le problematiche di questi ragazzi non hanno nulla a che fare con la cultura giovanile. Sono predatori e quindi hanno l’istinto della sopravvivenza e quindi commettono reati per lo più contro il patrimonio. Quindi è chiaro che oggi il carcere è abitato quasi esclusivamente al nord da questi ragazzi.
In settimana è stato arrestato il rapper Baby Gang, idolo dei giovani. Quanto incidono modelli così che cantano di droga, armi e violenza?
Sono sempre stato incuriosito dalla musica rap, e dalla musica trap, non la demonizzo perché credo sia una fotografia autentica di una cultura giovanile che è soprattutto legata alle seconde generazioni, che purtroppo palesa questo senso di esclusione, di inuguaglianza e di discriminazione. Sono testi violenti che nascono dalla rabbia di certi quartieri, sono testi che certamente non possiamo approvare, ma che comunque fotografano quella che io definisco la geografia della paura. Cioè sono situazioni abitative di quartieri veramente abbandonati da tutti, dallo Stato, dalle scuole, per cui queste sono ragazzini che crescono da soli, e quindi apprendono quello che la strada insegna loro. Questo non vuol dire giustificarli, però vuol dire decisamente capire che la musica rap è, in qualche modo, la narrazione più evidente di questo disagio.
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