Cronaca

Il posto fisso non piace più, in 20 anni la Loggia ha perso 539 dipendenti

Calo del 25%, che è comunque sotto la media regionale (-27,6%): il rapporto compensi-responsabilità fa crollare l’appeal
Palazzo Loggia - © www.giornaledibrescia.it
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Per decenni è stato considerato il traguardo per eccellenza, il rifugio sicuro nella tempesta del mercato del lavoro. Non più oggi: il posto fisso nel pubblico impiego che porta il timbro degli enti locali (alias: i Comuni, grandi o piccoli che siano) sembra proprio aver perso il suo appeal. Un tempo simbolo di stabilità economica e riconoscimento sociale, ora è sempre più spesso visto come l’ultimissima spiaggia. Insomma: un ripiego, meglio se temporaneo. Lo sanno bene gli amministratori, spesso alle prese con concorsi che finiscono a vuoto, «divorzi brevi» e grandi fughe, soprattutto quando le caselle da riempire sono quelle degli uffici tecnici e non quelle manageriali.

A certificare il trend a suon di numeri e percentuali sono due studi: il primo è vergato Uil e prende in esame l’andamento degli ultimi ventidue anni in Lombardia, sia nei Comuni capoluogo sia nelle Province, intese come istituzioni, a partire dai dati del conto annuale della Ragioneria dello Stato. Il secondo è il rapporto dell’Ifel (Istituto per la finanza e l’economia locale), la fondazione dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani, che punta i riflettori in particolare su quanti, dopo un’esperienza negli enti locali, decidono di darsela a gambe e di fiondarsi nel settore privato. Un trend che, stando alle previsioni dell’Istituto, sembra destinato a crescere ulteriormente nell’arco dei prossimi sette anni. È così in Italia, è così in Lombardia ed è così anche a Brescia, seppure con una marcia più «lenta».

I numeri

Quanto pesa, realmente, questa «grande fuga»? Parecchio. E lo si capisce immediatamente dalle cifre macro: secondo l’approfondimento della Uil, dal 2001 al 2023 il personale complessivo degli enti locali lombardi è diminuito del 27,4% e del 18,1% rispetto al 2011, un deficit che «ha inciso direttamente sulla capacità degli enti di garantire servizi fondamentali». Si parla di attività molto concrete: asili, Polizia locale, edilizia scolastica, manutenzione delle strade, programmazione e progetti.

Se i capoluoghi più critici sono Lodi (-41,2%), Pavia (-35,9%) e Como (-35,7%), Brescia è in questo caso incardinata nella seconda parte della classifica: con un deficit di personale pari al 24,9% – pari a 539 dipendenti persi – il nostro capoluogo è sì in linea con il trend generale ma ha attutito il colpo meglio di altre città, dimostrando una «tenuta» e sta sotto la media regionale (certo, c’è chi è riuscito a fare meglio: Monza, Mantova, Sondrio e Bergamo).

Scenario

L’altro dato significativo lo fornisce l’Ifel, che si concentra sul fenomeno delle dimissioni (con un focus che analizza i dati dal 2017 al 2023 in Lombardia). L’affresco è desolante: nel 2017 le uscite dagli uffici comunali slegate dai pensionamenti erano 11mila, nel 2023 (ultimo anno di cui i censimenti ufficiali forniscono uno spaccato dettagliato) sono arrivate a toccare quota 16mila.

Significa che in sei anni, il balzo di dimissioni e rinunce è del 45,5%. Ma è l’affresco del futuro a rappresentare il vero «alert». Se le attuali tendenze saranno confermate, l’Istituto stima che nei prossimi sette anni il comparto dei Comuni lombardi perderà oltre 7.800 dipendenti a tempo indeterminato per pensionamento e altri 17mila per altre cause (in primis le dimissioni volontarie). In totale uscirebbero oltre 25.200 unità, il 48% del personale attualmente in servizio.

In fuga

Come mai? Entrambe le indagini restituiscono la stessa spiccicata diagnosi: la colpa è per larga parte di salari troppo francescani e non al passo né con il costo della vita, né con il costo del settore immobiliare. Insomma: il posto sarà anche fisso, ma il cursus honorum interno per fare carriera è spesso tribolato e «in città, in affitto, vivere con 1.300 euro è diventato complicato». E se a cristallizzarsi come «fisso» è anche uno stipendio risicato, allora tanto vale giocarsela a suon di consulenze e studi professionali. O, perché no, in altre amministrazioni pubbliche.

Sì, perché le retribuzioni comunali medie sono tra le più basse del pubblico impiego (e questo vale per tutte le categorie in cui è incardinato il personale non dirigente). Lo studio offre cifre esplicite, che mostrano come il dipendente comunale negli scalini più bassi dell’organigramma con 22.338 euro lordi medi all’anno si fermi il 15,3% sotto il suo omologo in Regione, mentre lo spread retributivo cresce al 19,6% se il raffronto è con i ministeriali, fino ad arrivare ad un divario del 23,2% rispetto ai lavoratori delle agenzie fiscali.

Ecco perché gli amministratori (sindaci in primis, ma anche gli assessori che devono barcamenarsi nella progettazione e nella programmazione) rivendicano di riuscire a compiere un piccolo miracolo quotidiano. Ed ecco anche perché il governo, in vista della manovra del giro di boa della legislatura, sta lavorando da mesi sul rebus salari pubblici.

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