Paolo VI, il lascito di umiltà, la fede e il messaggio sulla povertà

Il testo fu redatto il 30 giugno 1965, integrato da due aggiunte, una del 1972 e un’altra del 1973. Le ultime volontà di Paolo VI furono lette alla Congregazione generale dei Cardinali, giovedì 10 agosto 1978, dopo essere stato portato a conoscenza dei familiari. Quattordici pagine manoscritte. Dopo una prima parte in cui riflette sulla vita e ringrazia il Signore per il suo dono, saluta e benedice «tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno».
Le disposizioni
Poi passa alle disposizioni: «Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate» scrive nel punto 2. In seguito nomina il suo esecutore testamentario, il suo segretario privato.
E continua: «Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo. Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone».

«Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali. Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza».
La cerimonia funebre
Poi passa ai suoi desideri riguardanti la cerimonia funebre: «Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso). La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me».
Le due integrazioni sono una più concisa dell’altra, ma in sostanza non si discostano molto dal primo testamento del 1965. «Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene – scrive nel 1972 –. Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace. Saluto il carissimo fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente. Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!».
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