Palazzolo, adotta i nipoti dopo l’omicidio della figlia: «Fatevi aiutare»

La storia di Giuseppina Ghilardi, la mamma di Daniela Bani, ammazzata dal marito nel 2014
Giuseppina Ghilardi con la foto della figlia Daniela Bani - Foto © www.giornaledibrescia.it
Giuseppina Ghilardi con la foto della figlia Daniela Bani - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il più grande oggi ha 18 anni e sta per diplomarsi prima di affacciarsi al mondo del lavoro. Il più piccolo invece ha appena iniziato le superiori e ha le idee chiare sul suo futuro. «Sono stata determinata e anche fortunata. Ho trovato le persone giuste al momento giusto e sono stata aiutata. Non da tutti. Alcuni mi hanno detto di no. Però quelli che ci sono stati sono rimasti e ci sono ancora oggi».

Il coraggio

Giuseppina Ghilardi è la mamma di Daniela Bani, uccisa a coltellate nel 2014 dal marito Mootaz Chambi. All’improvviso i suoi due figli, che all’epoca dei fatti avevano 4 e 8 anni, sono rimasti orfani. Lei li ha adottati e da nonna è passata ad essere mamma. Dopo dieci anni, con i ragazzi ben instradati verso il loro futuro, stila il primo bilancio. «Non è stato facile. All’inizio non sapevo niente. Io però sono una persona determinata e sapevo di dover fare di tutto per i miei ragazzi. All’inizio aveva paura e vergogna a chiedere qualsiasi cosa, poi mi sono resa conto che era nei loro diritti avere l’assistenza e l’aiuto di cui avevano bisogno».

Giuseppina Ghilardi, a sinistra, con la figlia Daniela Bani
Giuseppina Ghilardi, a sinistra, con la figlia Daniela Bani

Nel corso degli anni la signora Giusy si è rimboccata le maniche: «Il mio più grande cruccio era che l’assassino di mia figlia fosse latitante. Ho scritto a tutti, volevo che fosse in prigione e alla fine, grazie all’allora ministro Salvini, ho avuto la certezza che fosse in galera. Ho trovato le persone giuste nei momenti giusti».

I suoi bambini

Dall’omicidio di Daniela Bani sono passati dieci anni. I suoi bambini sono ora ragazzi e nel percorso la figura della nonna è stata determinante. «Ho avuto accanto educatori e assistenti sociali. Quando i bambini erano piccoli io li invitavo a casa, dicevo loro di venire a controllare ma sapevano, dalla scuola e dalle loro informazioni, che ai miei nipoti non mancava niente».

Nell’età dell’adolescenza «con il più grande ho avuto bisogno di aiuto. L’educatore che ci hanno assegnato e poi diventato un amico di famiglia e ancora oggi frequenta la nostra casa e vede spesso il ragazzo. Il grande è più solare, il piccolo introverso, ma determinato».

Ora che sono passati dieci anni «e vedo quello che c’è in giro sono contenta di come sono i miei ragazzi».

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