Omicidio Borin, dopo 5 anni è definitiva l’assoluzione del badante

L’assoluzione è diventata definitiva. La giustizia ha apparecchiato due verità. La prima è che ad uccidere Diva Borin, la 86enne residente in via Ballini ad Urago Mella trovata senza vita con un foulard stretto attorno al collo sul divano di casa il 2 marzo del 2019, non è stato Salvatore Spina, il suo badante. La seconda è che l’assassino dell’anziana è in libertà da 5 anni e, in libertà, rischia di rimanerci ancora a lungo.
La procura generale ha deciso di non impugnare la sentenza che ha assolto anche in appello il 43enne di origini trapanesi, a Brescia dal 2002. Il verdetto così è passato in giudicato e non è più suscettibile di revisione. Per assurdo Spina potrebbe anche presentarsi in procura, ammettere il delitto, portare le prove della sua responsabilità, ed uscirne indenne: libero. «Per assurdo, lo sottolinei bene. Perché io non ho fatto nulla alla signora Borin e non ho nulla da confessare» ci dice il badante che abbiamo sentito l’indomani la conferma della sua innocenza.
Da quella mattina di sabato in cui si presentò con una vicina di casa e la trovò senza vita sul divano è passata un’eternità, soprattutto per lui. «Anche se sono sempre rimasto in libertà sono stati anni difficilissimi. Mi hanno cambiato per sempre. Ho perso tutta la mia serenità, anche se sapevo di essere innocente. Per fortuna avevo la possibilità di difendermi. Mi sono chiesto spesso – ci ha detto Spina – come possa pretendere di salvarsi un innocente che finisce a processo e non ha i mezzi economici per affrontarlo».

Il badante si è chiesto anche perché proprio lui. «E mi sono risposto subito: la signora Diva mi aveva nominato suo erede. Anche suo nipote lo era, ma credo sia stata questa la ragione per la quale gli inquirenti hanno puntato su di me».
Movente
Stando al capo di imputazione Salvatore Spina avrebbe ucciso l’anziana che assisteva da qualche anno e che aiutava tutti i giorni nelle commissioni e nelle faccende domestiche, proprio per soldi.
«Per me e per i miei figli la signora Borin era come una nonna. L’avevo conosciuta al supermercato dove lavoravo. Era stata lei a chiedermi se potevo aiutarla con la spesa e io mi ero prestato a farlo. Era sola, in difficoltà, mi sembrava giusto aiutarla. Lei contraccambiava dandomi spesso delle mance. Non era denaro di cui avevo bisogno. Io e mia moglie – ci ha spiegato il badante – abbiamo un buono stipendio, possiamo permetterci una vita più che dignitosa. Non avevo bisogno dei soldi, della casa e della polizza vita di Diva Borin. Non li volevo nemmeno per fare la bella vita, come ha sostenuto l’accusa. Se mi fossero interessati non avrei rinunciato all’eredità».
Decisivo per l’assoluzione del badante è stato l’orario della morte dell’anziana, a processo risultato incompatibile con la sua presenza in casa della donna. «Il mio avvocato (Giacomo Nodari, ndr) – spiega Spina – è riuscito a dimostrare che quel venerdì sera Diva era viva diverse ore dopo la mia partenza da via Ballini. Che era viva quando il mio cellulare agganciò le celle, nei pressi di casa mia».
Le indagini non sono state in grado di dimostrare altro. «Innanzitutto – dice il badante – non hanno stabilito di chi siano le impronte digitali trovate sul foulard con il quale Diva è stata strangolata». Inutile chiedergli se ha sospetti. «So che quella casa era chiusa a chiave, e che, oltre a me, erano otto le persone che avevano le chiavi. Non so altro e altro non voglio sapere. Con quella vicenda ho chiuso. Non mi resta che ringraziare chi ha avuto fiducia in me e l’avvocato Nodari: mi ha salvato da una condanna pesantissima, anche perché ingiusta».
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