Nel cimitero di Ghedi c’è la tomba di Romani, che scoprì il trifoglio

Oltre a connetterci con i nostri cari, una camminata tra le tombe permette di respirare il balsamo dei ricordi e cogliere voci di anime lontane, che chiedono solo di essere ricordate. Un esempio lo si trova a Ghedi.
Il personaggio
Nel cimitero vecchio c’è una lapide sciupata, con un agiografico epitaffio: «Romani Alessandro, ingegnere, idraulico, architetto, agronomo a beneficio dell’irrigazione nelle province bresciana e cremonese, propose di ridurre il Lago d’Iseo a serbatoio artificiale».
Un tipo risoluto, insomma, forse troppo. Ancora: «Scoprì il seme del trifoglio ladino, insegnò coll’esempio e con la stampa tale coltura essere applicabile a tutti i terreni irrigui. Nato a Soresina nell’ottobre del 1802, moriva a Ghedi nell’aprile 1886, contento d’aver recato incalcolabile aumento della produzione agricola».
I terreni
«Il suo nome – assicura Carmine Piccolo, il professore podista che ha ricostruito la storia dell’agronomo – è citato come proprietario di terreni nel catasto del Regno d’Italia sulla proprietà fondiaria del territorio bresciano: dal 1847 al 1848 a San Gervasio Romani fece le sue ricerche e i suoi studi».
Da segnalare che, quasi 20 anni fa, Piccolo, come ogni consigliere comunale, aveva sollecitato il restauro della stele di Romani. Richiesta inevasa. «Provvederemo presto», assicurano gli assessori Giovanni Cazzavacca e Martino Pasini.
Impronta
Torniamo a Romani, uno dei tanti Carneadi che, senza guerre o imprese eroiche, hanno lasciato un’impronta. Oggi il trifoglio (ladì per i nostri nonni) è conosciutissimo e presente in parchi e giardini, ma raro nei campi, soppiantato da colture più redditizie. Ma a quei tempi era molto apprezzato per sfamare i bovini. Sia chiaro, il trifoglio è nostrano, il suo nome botanico risale a metà Settecento ed è nativo del continente europeo, ma il merito di Romani è aver portato la leguminosa alla conoscenza e all’uso di molti in ambito agricolo.
in ogni dove
I contadini cominciarono a spargerlo in ogni dove: a marzo anche nei campi di frumento, così che, dopo la mietitura, crescesse tra i ceppi della paglia (strépol), prendendone il posto fino a far cambiare colore ai campi che da gialli diventavano verdi (questa pratica era chiamata «bölado»).
In chiusura segnaliamo che, accanto alla sua lapide, ce n’è un’altra, con due iscrizioni: una ricorda un omonimo del nostro, forse suo nipote; l’altra Andrea Romani, pure lui «esperto agronomo». C’è chi ipotizza che il diffusore della semenza sia quest’ultimo. Sono passati 150 anni: non litigheremo su un nome. Alla domanda «chi ha diffuso il trifoglio?», risponderemo con un sibillino «A. Romani».
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