Minori autori di reato, alla Cattolica la messa alla prova è inclusiva

Giustizia, inclusione, sostenibilità e riparazione. Quattro parole intrise di un significato profondo, un significato che è il frutto della riflessione degli otto ragazzi minorenni, autori di reato, protagonisti del progetto di messa alla prova ideato dal Servizio di Psicologia Clinica e Forense e dal Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la partecipazione della Direzione generale per la giustizia minorile e di comunità del Ministero di Grazia e Giustizia. Un esperimento unico in Italia e il primo bilancio, come ha sottolineato il professor Giancarlo Tamanza, direttore del Servizio di Psicologia clinica e forense, «si può dire sia stato positivo».
Il percorso
Ieri pomeriggio al campus di Mompiano è andata in scena la seconda Communitiy conference, l’occasione per fare il punto sul progetto «Messa alla prova in Università», dopo un anno di attività. A fornire i dettagli del percorso sono stati Nicola Maccioni, direttore della Cooperativa Area, e Ilaria Marchetti, dell’Istituto di mediazione familiare e sociale. Due dei partner operativi, insieme alla Fondazione Comunità e Scuola, che hanno seguito i ragazzi insieme all’equipe di giovani professionisti, composta da studenti della Scuola di specializzazione in Psicologia clinica. Maccioni ha evidenziato come il progetto di trekking talk therapy – circa 100 chilometri in sei giorni nella parte nord del lago di Garda – sia stato «molto importante per i ragazzi, che non sono abituati a immergersi nella natura; solitamente trascorrono le loro giornate a casa o al parchetto. Attraverso il proprio corpo, attraverso la fatica, sono entrati in contatto con le proprie emozioni, per capire come ci si sente davvero».
La riflessione
Un percorso, per certi versi catartico, che poi è proseguito con il gruppo di parola. «Si sono ritrovati attorno a un cerchio – ha spiegato Marchetti –, e hanno provato a riflettere sul tema del reato e sulle emozioni che hanno provato». È più difficile per questi giovani entrare in sintonia con le loro vittime, «perché sono i primi a sentirsi vittime di ingiustizie e spesso lo sono – ha aggiunto la mediatrice –. Tuttavia, nel corso di questi quattro incontri, sono riusciti a mettere a fuoco quello che le persone offese hanno provato». Infine, i giovani hanno individuato le quattro parole più rappresentative del loro percorso. «Sono ragazzi che hanno bisogno di giustizia e allo stesso tempo desiderano sentirsi inclusi e non etichettati come mostri. La terza parola è sostenibilità, il contatto con la natura li ha toccati nel profondo, la quarta è riparazione: la volontà di rimediare a quanto hanno fatto».
Accanto ai percorsi comuni, per ognuno di loro è stato realizzato un piano educativo individualizzato per facilitare percorsi di apprendimento: dai corsi di inglese e spagnolo all’alfabetizzazione digitale passando per la fotografia creativa.
L’aspetto scientifico
«Il primo parametro era valutare la tenuta dei ragazzi – ha proseguito il professor Tamanza –. Anche se non tutti hanno raggiunto pienamente gli obiettivi, sicuramente il risultato è positivo. La validazione di un modello richiede un’estensione più ampia, ma dopo questa esperienza possiamo dire che il contesto universitario, nonostante alcune perplessità, si è dimostrato un ambiente molto accogliente che ha saputo valorizzare il loro impegno».
Il convegno
Dopo i saluti istituzionali del direttore della sede di Brescia della Cattolica, Giovanni Panzeri, della direttrice generale di Fondazione della Comunità bresciana, Orietta Filippini, e dell’assessora per le Politiche giovani di Brescia, Anna Frattini, sono intervenuti numerosi illustri ospiti. Tra questi la procuratrice capo del Tribunale per i minorenni di Brescia, Giuliana Tondina: «C’è ancora molta strada da fare, ma possiamo dire che in questo contesto inusuale, ma estremamente qualificante, alcuni di loro hanno mostrato risorse e interessi inaspettati. Uno dei punti che accomuna questi ragazzi è la sensazione di non sentirsi parte del mondo degli adulti o addirittura, per i figli di stranieri, della comunità. Il fatto di venire a fare delle cose in un luogo d’eccellenza come questo per loro è stato sicuramente utile».

Tra gli ospiti sono intervenuti anche il cappellano del Beccaria di Milano, don Claudio Burgio, e Marco Bouchard, già magistrato e presidente dell’Associazione Rete di Dafne Italia. Dopo le conclusioni di Roberta Ghidelli, direttrice dell’Ussm del Tribunale per i minorenni, è stato consegnato un mazzo di fiori a Cristina Maggia, per otto anni presidente del Tribunale dei minori di Brescia e molto vicina a questo progetto, che settimana prossima andrà in pensione.
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