Sui social è il capo dei maranza: «Vi spiego cosa fanno davvero»
Ahmed ci accoglie sul terrazzino di un piccolo bar di Borgosatollo. L’apparenza nel suo caso inganna eccome: felpa e pantaloni della tuta grigi, marsupio a tracolla, capelli ricci a cascata sulla fronte. I grandi cliché dello «stile maranza». Il primo chiarimento riguarda proprio questo aspetto: «Lo stile non c’entra nulla». Sui social è conosciuto come «Aquila», ha origini egiziane ma ha sempre vissuto in Italia. Spopola soprattutto su TikTok, il suo profilo conta oltre 100mila follower. Tra le etichette che si è affibbiato c’è quella di «capo dei maranza». Per dare fastidio, ci spiega lui. Ora cerca di prendere le distanze da quel modello.
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Lo accompagna Saad, un ragazzo marocchino poco più che ventenne, due anni più vecchio di Ahmed: «C’è l’abitudine a chiamare “maranza” tutti i nordafricani con i capelli ricci, che vestono in un certo modo: molti di loro sono brave persone, che magari combinano qualche guaio, ma senza fare del male a nessuno – ci racconta –. C’è una gran differenza con chi deruba, picchia, o addirittura commette violenza sulle donne». Secondo Saad, il primo passo da compiere è andare oltre certi pregiudizi: «È un muro che dobbiamo cercare di abbattere tutti insieme, con un po’ di empatia in più. Spargere odio non serve a nulla. Anzi, alimenta ulteriormente il fenomeno. È fondamentale venire incontro a questa gente e aiutarla a integrarsi».
Insieme ad «Aquila» cerchiamo di conoscere meglio un mondo dai contorni ancora sfumati: «Il termine “maranza”, come dicevo, non identifica uno stile ma un’attitudine: persone che trascorrono le loro giornate in stazione e s’infilano sempre nei casini, tra risse e accoltellamenti. Eppure la polizia mi ferma spesso per il modo in cui vesto, o perché sono conosciuto sui social come “capo dei maranza”».
Lei ha un foglio di via da Brescia per una rissa capitata qualche tempo fa. Ce ne vuole parlare?
«Il personaggio che ho creato sui social ha attirato su di me tanto odio. Una sera mi sono ritrovato addosso un gruppo di persone: mi hanno attaccato, e io ho dovuto rispondere. Avevo provato a contattare le forze dell’ordine, ma non è servito. Loro erano armati, io mi sono difeso con le mani».
A proposito: il coltello, per i “maranza” di cui parla lei, è d’uso sempre più comune. Perché?
«Certa musica, che oggi va particolarmente di moda, racconta un mondo di droga e violenza. E qualche ragazzino ne è affascinato. Non hanno voglia di lavorare. Se ne stanno in stazione e attaccano briga con chiunque capiti a tiro».
Immagino si riferisca al mondo della trap: artisti come Baby Gang o Simba La Rue si affidano spesso a questa narrazione. Quanto la considera dannosa per un giovanissimo che non ha gli strumenti per distinguere tra finzione e realtà?
«I cantanti non possono essere un esempio per loro: sono come degli attori, di certo non dei modelli da imitare. È in questo che i giovani di cui parla sbagliano. Non è un genere per tutti: se lo ascolti per divertimento non c’è nulla di male, altrimenti rischia di diventare un problema serio».
Vale lo stesso per i social? E lei, come personaggio esposto, avverte una responsabilità nei confronti di chi la segue?
«Certamente. Senza provocare non avrei mai fatto certi numeri su TikTok. Ora che mi conoscono in tanti cerco di trasmettere dei messaggi positivi: voglio che i miei follower capiscano che io non sono l’immagine che ho creato sui social».
È quasi come se la criminalità e la violenza fossero espressione di una nuova moda. Come si spiega questo fenomeno?
«Qualcuno lo fa perché non ha alternative, è il modo più immediato per mettersi in tasca qualche soldo. Altri, come dice lei, seguono una moda: stanno in gruppo, comandano, amano fare i criminali. Gli episodi dal 2020 a oggi sono diventati sempre più frequenti».
Lei si sentiva insicuro quando usciva a Brescia?
«Sì, la città è molto pericolosa. Girano molti criminali, creano problemi di continuo. Nessuno può andare tranquillamente in piazza Vittoria: può capitare che qualcuno ti aggredisca e ti rubi il portafoglio. Con tanto di minacce: se denunci, finisce male. Restano tutti impuniti. La polizia si preoccupa degli influencer come me: ho preso un foglio di via senza aver fatto nulla, mi sono solamente difeso».
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