CronacaBassa

La sfida dei resistenti di Roccafranca: «Giù le mani dalla nostra terra»

Tonino Zana
C’è tensione nella frazione di San Fermo a causa della variante che prevede nuovi insediamenti produttivi
I cittadini radunati a Roccafranca - © www.giornaledibrescia.it
I cittadini radunati a Roccafranca - © www.giornaledibrescia.it
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Difendono il loro spicchio di terra: il Comune di Roccafranca ha approvato una variante che potrebbe portare insediamenti produttivi lì intorno, proprio dove loro - nati contadini e vissuti da contadini - vogliono restare. Il destino per sempre sulla terra reale.

A fianco della Provinciale clarense, di fronte a un distributore, una trentina di persone, di mattina presto, sono come rifugiati sotto le barchesse della cascina Scarpetta, catasto di Rudiano, confine con Roccafranca. Piove di una pioggia ficcante nelle ossa: le donne portano acqua e tè in bottiglia sul mobile stretto dove tutti si raggruppano, come soldati antichi dentro una isba immaginaria: non demordono, sono unanimi, donne e uomini, coltivatori e Legambiente, prof. di matematica e cittadini sparsi tra Rudiano, Roccafranca, Chiari, Castelcovati, Orzinuovi e Castrezzato, e oltre. Difficile registrarli tutti, si portano quella timidezza della campagna che non cede e non vorrebbe strillare. Qualcuno disdice la foto di gruppo: decisi a tenersi e coltivare la loro terra, indecisi nell’apparire.

Terra «nostra»

Dalla cascina dei Capoferri entriamo nella cascina dei Mercandelli, uno ospita l’altro, famiglie unite a difendere un principio fondamentale: «Siamo su questi campi, ereditati dai padri e dai bisnonni, tenuti a mano con la fatica di ogni ora, sabato e domenica, con stalle piccole, fossi tenuti puliti, orzo, mais e tutto quello che è possibile coltivare per mantenere la famiglia. I nostri figli continueranno. Perché mollare, perché inquinarci, perché circondarci di fabbriche e giganti di logistica che sembrano basi militari? Questa è diventata terra di prima qualità grazie alle nostre fatiche e ora vorreste cambiarla in capannoni di cemento che andranno e verranno e molti rimarranno vuoti».

Quei super capannoni stanno a un chilometro, catasto clarense, tagliano la vista paesaggistica, rubano una terra sterminata della campagna e non parlano con nessuno.

Qui, alla cascina Scarpetta, i ribelli per amore della loro terra hanno tra i 50 e i 70 anni passati, visi fieri di rughe e di occhi larghi, fisionomie maschili e femminili decise. I loro nomi vi diranno quello che vi diranno, i nomi sono la loro terra, quei 4, 5 piò a testa su cui si sono ammalati e sono guariti per decenni e adesso rischiano l’accerchiamento. Temono l’esproprio. Insomma, qui la trincea è salda, non si molla.

«Resistenza»

Francesco e Giulia Capoferri, Francesco Mercandelli e la moglie Maria Cropelli, Agostino Capoferri il quale annota moralmente la presenza di sua moglie Silvana, impegnata alla Caritas, poiché questa la fibra umana e spirituale di questi personaggi, terra e aiuto, accontentarsi del poco che è tanto, Luigi Vicini, Abele Galli e la nipote Fabiana Allegrini, «abbiamo il pozzo e beviamo da lì, da dove dovrei bere in futuro? E il cosiddetto ingresso sulla Provinciale quale e quanta terra mi porterà via, nessuno mi ha detto nulla».

In ultimo, sparato su una macchinetta, arriva don Mauro Capoferri, parroco di Bovezzo, figlio di Francesco, nato qui e vissuto fino al tempo della chiamata. Porta il dono del tempo che andiamo perdendo: «Il soldo non è la vita, i giovani tornano sulla terra della campagna, qui si impara a vivere per intero, secondo misura. Il verde della cui carenza ci lamentiamo sempre, vogliamo tenerlo, viverlo e pregare con esso o no, siamo la natura del Signore, tutti insieme o non siamo?».

Il don fa venire i brividi e sua madre non vuole che lo si nomini. Cara madre, dai, c’è il tempo in cui la testimonianza lega il cielo e la terra e questo, oggi, forse è proprio, non solo simbolicamente, questo tempo. Poi verranno i realisti dell’iperrealismo che diranno: voi siete romantici, fuori dal tempo. Brutta storia, intanto l’area milanese, che non ha un viso, un nome e cognome, ma è l’idea di consumismo che cammina e viene avanti, ci mangia terra e mestieri. Convinti che va proprio bene così? Convinti?

Non dimentichiamo l’avvocatessa Emanuela Beacco - Legambiente -, in prima fila con il ricorso al Tar: urbanistica violata, terra mangiata, clima compromesso eccetera e non scordiamo neanche la risposta del sindaco di Roccafranca Marco Franzelli: «Avremo 4 milioni più gli oneri, risponderemo alla domanda di molte aziende, la comunità è con me».

Parola finale al professor Catullo Uberti: «Scusate, ma il cibo, d’ora in poi, chi lo fornirà, la logistica, quei capannoni che per la maggior parte si fanno vuoti nel giro di poco tempo? Il cibo chi lo darà?».

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