Inverno demografico, nel Bresciano nascite in calo del 24% in soli 10 anni

Tante e diverse le cause, dall'esigenza di un lavoro stabile per i giovani ai servizi non più in linea con i ritmi familiari. Secondo una proiezione dell’Istat nel 2050 ci saranno più di 300 anziani ogni 100 giovani
Un bambino neonato - © www.giornaledibrescia.it
Un bambino neonato - © www.giornaledibrescia.it
AA

Se ne è parlato soprattutto per le contestazioni alla ministra Roccella e per gli scontri, ma gli Stati generali della natalità, la due giorni romana di dibattiti sul calo delle nascite in Italia, ha sollevato diverse questioni tra le quali che, secondo una proiezione dell’Istat, nel 2050, ci saranno più di 300 anziani ogni 100 giovani.

Ma quella delle nascite è una questione talmente sfaccettata da essere vista con difficoltà, dai più, nella sua complessità. Spesso banalizzata, ridotta a «oggi i giovani sono egoisti», «non si vogliono più fare sacrifici» o «dobbiamo far capire la bellezza della genitorialità». Un problema che, per essere risolto, necessita di una visione d’insieme.

I dati

Partiamo da ciò che è inconfutabile: in Italia nascono meno bambini. E così anche a Brescia. Solo nei 164 comuni dell’Ats di Brescia, negli ultimi 10 anni, le nascite sono calate del 24% (10.620 nel 2014 contro le 8.069 del 2023), -0,44% tra il 2022 e il 2023. L’anno scorso nel Bresciano sono stati appesi alle porte 8.740 fiocchi (671 bimbi sono nati nell’ospedale di Esine, nel 2022 erano stati 724).

Pressoché stabile il dato della città capoluogo nella quale si è passati da 1.355 nati nel 2022 a 1.351 nel 2023. Nel 2024, però, Brescia sembra essere in controtendenza con 400 nati da gennaio ad aprile (nel 2022 furono 391 e nel 2023 390), ma si potranno tirare le somme solo a dicembre.

L’analisi

Perché si fanno meno figli? Le risposte sono diverse e tutte valide. Prima di tutto serve una sicurezza economica, un lavoro fisso e retribuito adeguatamente. Fare un figlio costa, sia in termini economici che di fatica. Quando nasce un bimbo, e finiscono i congedi, si deve trovare un asilo nido (che costa diverse centinaia di euro al mese), ma quando (e succede!) il piccolo si ammala o si usufruisce del permesso non retribuito (senza contributi figurativi, con disagi e mugugni) oppure si attiva - se c’è - la rete familiare. E va avanti così almeno fino alla secondaria. Per non parlare delle 12 settimane di vacanze estive con centri estivi che costano più di 100 euro a settimana. Insomma: mancano servizi che rispondano alle reali esigenze delle famiglie.

E qui arriviamo alle madri che - lo dicono i dati - sono pagate il 40% in meno delle colleghe senza figli; alcune lasciano il lavoro o chiedono il part time (venendo additate come quelle «che hanno mollato»), altre restano al lavoro a tempo pieno e sono sempre in bilico tra casa (dove per fortuna hanno - o pagano - qualcuno) e lavoro (venendo additate perché «a un certo orario devono andare a casa»).

E non basta: se un ingranaggio si inceppa tutto salta. Da un’indagine di UniMamma c’è una forte discrepanza tra il numero di figli desiderati in un mondo ideale e il numero di figli che si ha: una media di 2,62 figli per le intervistate contro un 1,20 di quella reale nazionale. Nella due giorni romana il Pontefice ha detto che una donna non deve scegliere tra figli e lavoro e Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità che organizza gli Stati generali, ha aggiunto che i figli sono «la cartina di tornasole attraverso la quale giudicare la politica, l’economia e la società. I figli non sono un dovere o un lusso, ma libertà».

Ma basta chiedere ai giovani di fare più figli? Certo che no. E a ribadirlo è il rapporto di Save the children «Le equilibriste», pubblicato proprio in occasione della Festa della mamma, che sancisce ancora una volta che fare figli in Italia è difficile e implica una condizione di dipendenza economica. Le mamme sono penalizzate nell’accesso al mercato del lavoro e in termini di retribuzione, condizione che implica fragilità, maggior rischio di povertà e vulnerabilità anche, e soprattutto, in vecchiaia (pensioni ridotte in primis).

Nel rapporto vengono portate le esperienze di Francia, Finlandia, Germania e Repubblica Ceca che hanno invertito il trend creando politiche per le diverse tipologie di famiglie, con un welfare che accompagna con continuità (in Italia le politiche sono frammentate, approvate di finanziaria in finanziaria con beneficiari diversi e, quindi, senza certezze) e con politiche non solo sulla genitorialità, ma anche sull’abitare e sull’assistenza agli anziani, alleggerendo il carico di cura delle donne e promuovendo la divisione dei compiti tra uomo e donna. E non è tutto: nel nostro Paese mancano politiche integrate che si basino meno sul lavoro non retribuito delle donne, ma non basta a spiegare perché si fanno pochi figli. Bisogna considerare il cosiddetto «contesto ostile» e cioè, oltre ai redditi bassi, alle condizioni del lavoro e al rapporto disuguale tra i sessi, la crisi economica e le incertezze portate dalla pandemia. Insomma, secondo i sociologi e gli psicologi, c’è anche bisogno di un orizzonte positivo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.