Internato dai nazisti, giustizia dopo 80 anni: risarcimento al figlio

Poco meno di due anni in un campo di prigionia. A rovistare tra gli scarti, a scavare oltre la rete a mani nude per una manciata di bucce di patate. Mesi interminabili passati a lavorare per il Terzo Reich in una fabbrica di calotte di cemento armato per bunker. Uno stabilimento da raggiungere a piedi tutti i giorni. Cinque chilometri all’andata, cinque al ritorno. Sotto il sole, d’estate. Con i piedi straziati dalla neve, d’inverno. Una tragedia che hanno vissuto tanti Italienische Militärinternierte (Internati Militari Italiani) catturati dalle truppe di Hitler, subito dopo l’Armistizio. Un dramma che hanno sperimentato sulla loro pelle diversi bresciani del secolo scorso, e che ha segnato intere famiglie, per diverse generazioni.
Dalla Grecia allo stalag
Per molte quella sciagura è rimasta nelle trincee inesplorabili scavate nella memoria di padri, zii, nonni. Per altre è diventato patrimonio famigliare condiviso. Per alcune questione della quale chiedere conto, per la quale pretendere risarcimenti e ristori, ma soprattutto il riconoscimento di una verità simbolica magari, sicuramente incapace di pacificare, ma comunque decisiva. Così è per il figlio di un IMI di Roncadelle che, assistito dagli avvocati Marcello Ferrari Chazelat e Filippo Paris, ha chiesto giustizia
Il padre, nato nel 1918 e orfano di madre pochi giorni dopo il primo vagito, fu arruolato in Marina nel 1939. Allo scoppio della guerra fu imbarcato, con il grado di sottocapo segnalatore, sulla motocannoniera Biancamaria prima e mandato poi di stanza alla base navale di Lero, nell’Egeo all’epoca sotto il controllo italiano. Fu catturato il 19 novembre, due mesi dopo l’armistizio, e portato nello Stalag I A di Koenisberg, nella Prussia Orientale dell’epoca, l’odierna Kaliningrad, l’insediamento più occidentale dell’attuale Russia. Qui subì quello che subirono tutti gli IMI. Fu vittima di un trattamento contrario a tutte le convenzioni.
La sentenza
Ottant’anni dopo il suo ritorno, a piedi, a Roncadelle uno dei suoi due figli ha ottenuto il risarcimento per i crimini di guerra subiti in quello stalag. Il Tribunale di Brescia, nella persona del giudice Gianni Sabbadini, dopo aver ritenuto correttamente instaurato il contraddittorio con la Repubblica Federale di Germania, rimasta contumace, ha condannato il ministero dell’Economia e delle Finanze italiano a pagare 40mila euro al figlio del sottocapo segnalatore di Roncadelle, a titolo di risarcimento dei danni patiti dal padre per mano del Terzo Reich.
Il giudice ha respinto le eccezioni sollevate dall’avvocatura dello Stato, che tra le altre cose chiedeva di dichiarare improponibili le pretese dell’attore per intervenuta prescrizione o comunque di dichiararle infondate per difetto di prova in ordine alla qualità di eredi del de cuius del ricorrente, ma anche all’insussistenza dei fatti (il trattamento inumano subito dagli IMI).
Per il Tribunale è sufficiente la prova che il padre dell’attore fosse stato internato l’indomani l’Armistizio senza altra motivazione se non la sua condizione di militare italiano e classificato come IMI, «dovendosi per il resto ritenere – scrive il giudice Sabbadini – che sia cosa notoria che il trattamento ricevuto dai militari italiani internati sia stato contrario alle norme convenzionali. A differenza di quanto pure sostenuto dall’Avvocatura, la cattura e la deportazione in Germania dei militari italiani – prosegue la sentenza – ed il loro trattamento come “Italienische MilitarInternierte”, anziché come prigioniero di guerra, non ha e non può avere alcuna giustificazione, esso violava le convenzioni a suo tempo sottoscritte dallo Stato tedesco e costituisce un crimine di guerra e contro l’umanità per il trattamento cui notoriamente furono sottoposti i militari deportati».
Crimini imprescrittibili, per i quali dovrà pagare, solo quando la sentenza sarà definitiva, lo Stato italiano attraverso il fondo istituito per dare attuazione al diritto al risarcimento delle vittime, senza trasgredire al principio dell’immunità degli stati prevista dalla Corte internazionale di giustizia.
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