Hamas divisa sul sì al piano di pace Usa, Trump: «Se rifiuta, è l’inferno»

L’organizzazione palestinese chiede chiarimenti su alcuni punti. I Paesi arabi e islamici pronti a cooperare con Washington
Una casa bombardata a Gaza - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Una casa bombardata a Gaza - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin è arrivato in Qatar, inviato dal presidente Erdogan, per partecipare ai colloqui con Hamas sul piano Trump per porre fine alla guerra a Gaza. La pressione sull’organizzazione che governa la Striscia dal 2008 è fortissima. I media israeliani riferiscono di profonde divisioni all’interno del gruppo. A Gerusalemme il team negoziale potrebbe ricevere da un momento all’altro dal governo l’indicazione di partire per nuovi colloqui. Il presidente degli Stati Uniti, riferiscono fonti ben informate, si aspetta che Ankara e Doha facciano la loro parte fino in fondo. Specie perché entrambi ospitano da anni la leadership politica di Hamas, con quel che ne consegue.

Gli arabi

I Paesi arabi e islamici, lunedì sera hanno rilasciato una dichiarazione congiunta accogliendo con favore gli sforzi dell’amministrazione Usa per mettere la parola fine sul conflitto. Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar ed Egitto si sono detti pronti a «cooperare positivamente» con gli Usa. Donald Trump ha dato 3-4 giorni al gruppo islamista per accettare il piano di pace, in caso contrario «espierà all’inferno». Cioè: Benjamin Netanyahu avrà l’appoggio americano se le cose andassero per il verso sbagliato e la guerra dovesse continuare per «distruggere Hamas».

Dal canto suo, l’organizzazione ha fatto trapelare su Sky news Arabia di essere «vicino ad accettare il piano Trump. Ma ha chiesto una serie di chiarimenti sulle garanzie che la guerra non riprenderà dopo che Netanyahu avrà ricevuto gli ostaggi, sul calendario del ritiro dell’Idf, sulla portata del ritiro e sulle garanzie contro futuri attacchi ai leader del movimento all’estero». Una diversa fonte di Hamas ha dichiarato alla Bbc che «un rifiuto è probabile».

Martedì mattina, neanche 12 ore dopo il discorso di Trump e Netanyahu alla Casa Bianca, in una dichiarazione ufficiale la presidenza dell’Autorità nazionale palestinese, ha definito il lavoro del presidente americano «sincero e determinato», impegnandosi ad attuare entro due anni – tra l’altro – lo sviluppo di programmi di studio in linea con gli standard Unesco (con l’esclusione dai libri di testo di concetti antisemiti e che inneggiano alla distruzione di Israele) e l’abolizione di leggi in base alle quali vengono erogati pagamenti alle famiglie di detenuti palestinesi e terroristi arrestati o condannati.

Lo Stato di Palestina

«Affermiamo la disponibilità a collaborare con gli Stati Uniti e tutte le parti per raggiungere la pace», si legge nella dichiarazione a nome dello «Stato di Palestina». Tuttavia nel documento reso noto dalla Casa Bianca uno specifico riferimento alla nascita dello Stato palestinese non c’è. Mentre il documento indica il futuro di Gaza contenuto in «un piano economico di sviluppo per ricostruire e rilanciare la Striscia che sarà creato convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle moderne città-miracolo del Medio Oriente».

In conferenza stampa Trump lunedì sera ha sottolineato che Bibi rimane «fermo nella sua opposizione a uno Stato di Palestina», «lui è un guerriero ma capisce che è tempo di mettere fine alla guerra a Gaza. Netanyahu infatti, pur nella piena armonia con Donald deve tenersi in equilibrio con il suo governo, specie con i due ministri messianici Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich (soprattutto quest’ultimo) che già paventano di far crollare l’esecutivo. In un lungo post sui social, Smotrich ha definito un «clamoroso fallimento diplomatico» il piano di pace a guida statunitense. Pur non arrivando a dire apertamente che il suo partito cercherà di far cadere Bibi.

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