I giovani di oggi «sono soli, gli adulti non li sanno ascoltare»

I giovani di oggi? Sempre più soli. Annalisa Angoscini li conosce bene, è un’educatrice professionale che lavora per Comunità Fraternità, è responsabile dell’area sociale; si occupa del servizio «Toc Tok», centro diurno che accoglie adolescenti tra i 16 e i 21 anni.
Dott.ssa Angoscini, lei si occupa di ragazzi che stanno seguendo il progetto di «messa alla prova», un percorso di recupero per chi ha commesso reati, se così possiamo semplificare. Qual è la fotografia degli adolescenti di oggi?
Sono sempre più soli, drammaticamente soli. Noi ci rapportiamo soprattutto con ragazzi di origine straniera di seconda generazione, ma ci sono anche italiani.
Come si crea questa solitudine?
Principalmente è una condizione che deriva anche dalla loro lontananza dal mondo dei genitori, aggiungo: spesso con i genitori non comunicano proprio.
Il rapporto genitori/figli non è mai stato semplice durante l’adolescenza, oggi cos’è cambiato?
Basandomi sul mio osservatorio, la questione di base è una: i genitori non fanno i genitori. E quindi non danno regole, si comportano come se fossero amici dei loro figli. Questo accade quando i genitori sono giovani, ma non solo: è un atteggiamento sempre più diffuso.
Dal suo punto di vista professionale, come sono cambiate, come si sono evolute le problematiche giovanili?
Le faccio un esempio: fino a qualche decennio fa si arrivava in comunità verso i trent’anni, oggi a 18/19 anni. Questo vuol dire che l’utilizzo, e l’abuso, di sostanze inizia già a 15/16 anni.
C’è un ritratto tipo di questi giovanissimi che fanno uso di sostanze?
Direi di no. Il tipo di famiglia da cui provengono però determina il percorso successivo. Se il ragazzo appartiene a una famiglia benestante arriverà in comunità più tardi, avendo disponibilità economica non ha bisogno di delinquere per procurarsi i soldi. Se c’è marginalità sociale, ovviamente, il percorso è più complicato. E drammatico.
Dipendenza da sostanze e necessità economiche sono un binomio esplosivo.
Esattamente, ma non solo. Spesso ci sono giovani senza il padre, con la madre che non lavora, iniziano così a commettere reati per «mantenere la famiglia». Ritengono che sia il modo più veloce per farlo.
Il vostro è un percorso di reinserimento, qual è l’atteggiamento dei giovani che arrivano? Sono predisposti a migliorare?
Va detto che vengono da noi perché sono obbligati, detto questo, noi cerchiamo di fare con loro un percorso condiviso, coinvolgendoli e responsabilizzandoli.
Non è certo facile.
Non lo è proprio. Sono adolescenti, con tutti i problemi e le difficoltà di questa delicata fase della vita, con un peso ulteriore che li ha portati a compiere reati, che possono essere violenza, furti, spaccio. Se poi ci sono fragilità a livello psichiatrico, chiaro che il percorso diventa anche più difficile e in salita.
Vengono da voi certo perché obbligati, ma come si approcciano al percorso?
Superate le diffidenze (e non sempre si riesce, ripeto: sono adolescenti) il loro approccio è quello di chi chiede aiuto. Lo fanno in vari modi, spesso devono anche imparare a farlo. Ripeto, se non hai ricevuto le basi in famiglia tutto è più complicato.
Questo è il tempo dei social, della dipendenza anche dal mondo virtuale, come incide tutto questo?
I social hanno indubbiamente aumentato l’isolamento. Ma non solo, dicevo della loro difficoltà a chiedere aiuto, questo perché hanno problemi a relazionarsi nella vita reale. Anche per una povertà di linguaggio, sono abituati a poche cose dette velocemente. Strutturare conversazioni diventa faticoso. Nonostante tutto questo (e non certo poco, sia chiaro), molto spesso troviamo la disponibilità a mettersi in discussione, a rivedere il proprio percorso e quindi a cambiare.
Facile immaginare che la mancanza di una famiglia renda più complicato anche l’inserimento in una vita «normale».
Certo, per questo noi lavoriamo per dare a questi giovani gli strumenti per collegarsi con il territorio, e possibilmente essere autonomi nella gestione di se stessi.
Cosa possono fare gli adulti?
I giovani vanno ascoltati, senza pregiudizi. Spesso la loro violenza (che resta sempre sbagliata e non giustificabile) è un modo per chiedere aiuto, per attirare l’attenzione. Vanno aiutati e non giudicati.
Non è facile.
Certo, quello che non si conosce fa sempre paura. Ma se gli adulti creano un muro di non dialogo è finita. Ribadisco, la violenza non è mai giustificabile, proviamo però a chiederci: come sono arrivati a quel punto? Ascoltiamoli aiutandoli a uscire dalla solitudine.
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