Il Garda senza coregoni: per la pesca professionale è allarme rosso

Il Garda senza coregoni: per la pesca professionale è ancora allarme rosso. Perché se un tempo riempivano le reti, oggi rischiano di sparire del tutto.
Il coregone lavarello, specie ittica che per decenni è stata protagonista nei piatti dei ristoranti del Garda, è ormai ai margini dell’ecosistema lacustre. E con lui vacilla un intero comparto, quello della pesca professionale, che sul Benaco conta ancora una trentina di addetti. Il motivo? Da quattro anni non viene più autorizzata la semina artificiale, tecnica ritenuta non compatibile con la normativa ambientale nazionale, perché il coregone non è considerato autoctono nonostante popoli queste acque da oltre un secolo.
Il risultato è una crisi senza precedenti. «Abbiamo perso l’80% del pescato rispetto a quattro anni fa», torna a denunciare la Fai Cisl bresciana per voce dell’incaricato Oliviero Sora, che ha rilanciato l’appello al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. L’auspicio è che arrivino al più presto nuove linee guida ministeriali, come anticipato in una recente risposta dell’assessore regionale Alessandro Beduschi. Ma il tempo stringe: anche se si sbloccasse ora la semina, servirebbero almeno quattro anni per vedere i primi effetti positivi nelle reti. E nel frattempo? «Molti pescatori rischiano di non farcela, soprattutto i più giovani».

È un tema decisamente noto. Già nel 2023 la protesta dei pescatori del Garda aveva sollevato il caso: «Se non è autoctono qui, non lo è nemmeno lì», avevano sottolineato, chiedendo una deroga per il Benaco come già concessa all’epoca a Sebino e lago di Como.
La scomparsa del coregone non è però solo una questione economica, ma anche culturale e ambientale. «È come pensare di raccogliere grano nella Bassa senza più seminare», spiegava un pescatore storico. Ora, la speranza è che per il coregone qualcosa si muova. Ma la finestra è stretta: senza interventi immediati, secondo i pescatori rischia di essere troppo tardi.
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