Estorsioni, violenza e caporalato: arresti per associazione a delinquere anche a Brescia

La Redazione Web
La Procura di Modena contesta i reati a 20 persone di origine pachistana residenti tra Carpi, Piacenza, Mantova e la nostra provincia
Violenza (simbolica) - © www.giornaledibrescia.it
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È stata la denuncia, nel 2021, di un lavoratore pakistano a far partire l'indagine della Procura di Modena, Digos e commissariato di Carpi. È così che è stata scoperta una associazione per delinquere, composta da cittadini pakistani e dedita ad estorsioni, lesioni personali, minacce, autoriciclaggio e caporalato.

Sono questi i reati contestati ad un gruppo di persone residenti tra Carpi, Piacenza, Mantova e Brescia e destinatarie di due distinte ordinanze di custodia in carcere emesse dal Gip. In tutto 20 gli indagati: uomini di origine pachistana, tre dei quali divenuti cittadini italiani. Tutti lavoratori dediti ad azioni violente a comando.

La prima ordinanza riguarda 18 persone indiziate di partecipare ad una associazione a delinquere nota come «AK-47 Carpi». La seconda ordinanza è stata emessa nei confronti di altri due indagati, della provincia di Brescia, per concorso nel tentato omicidio ai danni di un indagato dell'associazione AK-47 Carpi, accoltellato all'addome e colpito con bastoni e mazze ferrate. L'uomo si è salvato solo grazie all'arrivo delle forze dell'ordine.

Quest'ultimo episodio risale al 6 ottobre 2022 ed è scaturito dalla contrapposizione tra due distinti gruppi di cittadini pachistani (a Carpi e nella provincia di Brescia): oltre agli autori materiali del tentato omicidio, sono indagati altri 14 uomini per aver partecipato alla spedizione punitiva partita dalla provincia di Brescia. La maggior parte delle persone coinvolte nell'associazione a delinquere, all'epoca dei fatti, risultava dipendente di una società di servizi logistici legati al movimento di merci con sede legale nel vicentino, che aveva in appalto la manodopera dei corrieri all'interno di una nota società di spedizioni.

Secondo quanto emerso dalle indagini, il gruppo reclutava lavoratori pachistani per conto terzi, lucrando sulle loro retribuzioni trattenendone una quota, in condizioni di sfruttamento: le vittime dovevano sottostare a gravi minacce di ritorsioni sia in Italia che nel paese di origine.

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