Il cooperante bresciano: «A Gaza la situazione è fuori controllo»

Il 48enne Fabrizio Minini lavorava per la Croce Rossa nella Striscia quando è finita definitivamente la tregua
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Il cooperante Minini racconta il dramma di Gaza
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«La situazione è totalmente fuori controllo, negli ultimi quattro mesi abbiamo assistito ad un’escalation nel corso della quale ogni giorno l’esercito israeliano alza l’asticella». L’ultima volta che il cooperante bresciano Fabrizio Minini ha messo piede nella Striscia di Gaza era lo scorso aprile.

Sette mesi prima era tornato nel Valico di Rafah per assistere la popolazione palestinese affamata, malata e in ginocchio. Il 48enne, che ora è rientrato in Valcamonica, lavorava nella logistica per la Croce Rossa Internazionale di Ginevra quando l’Idf ha cominciato a bombardare la palazzina dei cooperanti. «Erano i giorni in cui è saltata la tregua, hanno iniziato a spararci contro e hanno colpito anche l’Onu. Siamo dovuti andar via con la forza». È stato l’inizio della fine.

«Ora che i soldati israeliani sono entrati a Gaza sparano su chiunque. Adesso sembra la normalità uccidere qualcuno in attesa durante la distribuzione del cibo. Inoltre una delle strategie più adottate è il «double strike»: bombardare un luogo, aspettare i soccorsi e tornare a bombardare. Così è stato fatto anche sull’ospedale Nasser». Quella di Khan Younis è l’unica struttura ospedaliera ancora attiva nel sud di Gaza, affiancata solo da cliniche da campo e strutture d’emergenza. Quel giorno c’erano migliaia di persone: oltre ai pazienti e ai familiari anche medici, personale sanitario, studenti tirocinanti e tanti tra cooperanti e giornalisti. Qualche mese fa ci sarebbe stato anche Fabrizio Minini.

Fabrizio Minini - © www.giornaledibrescia.it
Fabrizio Minini - © www.giornaledibrescia.it

«Ci andavo spesso. Ora penso ai colleghi palestinesi che sono morti, solo nell’ultimo mese ne ho persi cinque». In una drammatica gerarchia di emergenze, una delle peggiori è quella della mancanza di cibo. L’immagine dei bambini che mangiano la sabbia è reale, così come lo sono i numeri di oltre trecento decessi causati dal blocco israeliano di cibo. «Il cibo non entra più, siamo ad un livello terribile. È vero che ci sono tonnellate di aiuti stoccati dentro il confine, ma nulla si muove. Basta pensare che su 80 richieste di sblocco da parte dell’Onu ne è stata approvata solo la metà».

Con la situazione fuori controllo, la fine peggiore sembra più vicina. «Se non interverrà la Comunità europea, che mi sembra ormai abbastanza disinteressata, si può sperare solo che in Israele la protesta si alzi e che cada il governo Netanyahu. Abbiamo visto le mobilitazioni crescenti di queste ore, anche se sono rivolte soprattutto alla liberazione degli ostaggi. Ma di certo dall’esterno non ci saranno tante influenze. Intanto Israele avanza e continuerà a premere verso Sud».

A quale fine è destinata la Palestina? E a quale pace si arriverà? Sono questi gli interrogativi che pesano da anni. «Credo che Israele arriverà alla creazione delle cosiddette “città umanitarie”, che non sono altro che campi di concentramento nei quali stiperanno un milione e mezzo di palestinesi. Gli altri Paesi, invece, non vogliono aprire i confini e comunque la metà non vuole andarsene, dunque nascerà un nuovo problema».

Di certo, per il cooperante bresciano quella a cavallo tra il 2024 e il 2025 sarà stata l’ultima missione nella Striscia degli ultimi mesi. «È molto difficile rientrare - conclude -, al momento non viene rinnovato alcun visto, così c’è più controllo da parte delle forze israeliane».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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