Centri estivi comunali, per i bimbi disabili due posti ogni 20: «Mio figlio discriminato»

La storia di mamma Giulia: «Sono esasperata, devo lavorare e il Comune non ci tutela né ci aiuta». Anche quest’anno è stata costretta a iscrivere il suo piccolo a un grest privato
Un momento di gioco in uno dei Centri ricreativi estivi comunali - © www.giornaledibrescia.it
Un momento di gioco in uno dei Centri ricreativi estivi comunali - © www.giornaledibrescia.it
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Qualche anno fa, per poter badare a suo figlio (con disabilità certificata non grave) ha perso il lavoro: «Pressoché nessuno ti concede di poter rimanere a casa durante tutti e tre i mesi estivi, si sa. Per questo i Cre (Centri ricreativi estivi) comunali sono fondamentali per i genitori che hanno un impiego». La voce è di mamma Giulia, che ora vuole raccontare una rabbia che si porta sulle spalle da ormai sei anni: «Sono disperata, ma non intendo rassegnarmi - spiega - perché è una questione più che di principio, di diritti. E mio figlio li merita, esattamente come gli altri, invece con questo sistema viene discriminato».

La storia è questa: da sei anni mamma Giulia, per tempo, tenta di iscrivere il figlio (che ora ha nove anni) al Cre comunale della sua zona, «ma sistematicamente, tranne nel periodo Covid in cui i Centri si erano svuotati, vengo messa nel limbo della lista d’attesa. Una lista d’attesa che però raramente scorre». Come mai? Perché i posti riservati ai bimbi con disabilità - che, per legge, necessitano di assistenza ad personam - nei centri estivi pubblici sono in media due ogni venti.

La vicenda

«Per capire che questo servizio è insufficiente - sottolinea la madre - basterebbe vedere quanti minori per zona sono certificati ed è un dato che il Comune ha già, attraverso le scuole. Le iscrizioni peraltro si effettuano a inizio aprile: ci sarebbe tutto il tempo non solo per un riscontro ma anche per organizzarsi. Solo nella nostra scuola, i bimbi certificati sono quattordici...».

Giulia è infuriata: «Tutti gli altri bambini hanno un ventaglio di possibilità maggiori, perché possono accedere anche ai grest degli oratori, che nella maggior parte dei casi non hanno la possibilità di avere operatori ad personam a cui affidare minori disabili». Per questo, anche quest’anno, è stata costretta per i mesi di giugno e di luglio ad iscrivere il suo piccolo a un grest privato: «Prendo 700 euro al mese, ne spenderò 1.200 per questi due mesi estivi, ma almeno non rischio di perdere il posto di lavoro. Sia io sia mio marito lavoriamo e purtroppo non abbiamo nonni in grado di aiutarci e su cui poter contare per un periodo così lungo».

Proprio con l’obiettivo di trovare una soluzione a una situazione che è diventata un’emergenza, la famiglia aveva messo sul tavolo una proposta: «Il mio bambino è autonomo in tutto, avevo chiesto di iscriverlo senza tenere conto della certificazione ma non è possibile. Sarei anche disposta a pagare il 50 per cento dello stipendio dell’assistente ad personam, ma non me lo consentono: i funzionari comunali sono stati perentori. Mio figlio però, nel frattempo, si pone più di qualche domanda: mi ha chiesto come mai i suoi compagni di scuola possono trascorrere tutta l’estate insieme a giocare al centro estivo e lui invece no, deve andare in un luogo in cui non conosce nessuno. La verità nuda e cruda è che dovrei rispondergli: perché tu hai dei problemi e loro no e per te il Comune non trova posto. È molto triste: si parla tanto di inclusione, ma nella pratica ad essere discriminate sono sempre le stesse persone».

Giulia rimprovera anche un altro aspetto e inizia a bollare le istituzioni come menefreghiste: «Ci sono famiglie, come la mia, per le quali questi servizi sono essenziali in un quadro che è già difficile. Bisognerebbe, ad esempio, dare priorità ai figli i cui genitori sono entrambi lavoratori, invece nei fatti non avviene: la distinzione è solo per reddito. Ma mi chiedo: chi non ha reddito ed è dunque esente dalla retta, come fa in contemporanea ad avere entrambi i genitori lavoratori? Qualcuno controlla queste pratiche? Il punto è che evidentemente il Comune non vuole pagare più assistenti ad personam, ma questo è ingiusto».

Il caso in Aula

Dopo un dialogo che Giulia definisce «inutile» con l’apparato amministrativo della macchina pubblica, a farsi portavoce di questo caso è il consigliere comunale Michele Maggi (Lega), che ha lavorato a un’interrogazione per affrontare la questione in Aula. «Io stesso ho chiesto conto ai funzionari: ai bambini disabili sono riservati solo due posti su venti, una follia, quella madre ha ragione a parlare di discriminazione, anche perché ricordo - aggiunge il consigliere - che i genitori pagano regolarmente una retta, non si tratta di un servizio gratuito. Non si possono mettere in difficoltà i genitori che lavorano né penalizzare chi ha un figlio disabile». Di qui, le richieste alla Giunta: «Vorrei sapere quali sono i criteri che hanno portato alla scelta dell’ammissione di soli due minori disabili ogni venti bambini. E chiedere che vengano aumentati questi posti già per l’anno in corso». Infine, l’arringa (politica) preventiva: «Non mi rispondano che non ci sono i fondi, visto che hanno appena pubblicizzato trionfanti un maxi dividendo da parte di A2A».

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