Armani, l’ultima intervista: «Il mio rimpianto è aver lavorato troppo»

«I miei piani di successione consistono in un graduale passaggio dei ruoli di responsabilità che ho sempre ricoperto a chi mi è più vicino, come Leo Dell'Orco, i membri della mia famiglia e l'intero team di lavoro. Vorrei che la successione fosse organica e non un momento di rottura». Si esprimeva così Giorgio Armani nella sua ultima intervista, rilasciata una settimana fa al Financial Times. Un colloquio nel quale lo stilista ripercorreva la sua vita.
«La mia più grande debolezza è che ho il controllo su tutto», aveva sottolineato Armani, intervistato mentre era in convalescenza nella sua casa di Milano, dopo una malattia che lo aveva costretto a saltare le ultime tre sfilate che aveva organizzato a giugno e luglio.
«Ho supervisionato ogni aspetto della sfilata da remoto tramite collegamento video, dalle prove alla sequenza e al trucco. Tutto ciò che vedrete è stato fatto sotto la mia direzione e ha la mia approvazione», aveva assicurato, prima di sottolineare che la sua grande forza era «la capacità di credere nelle mie idee e la determinazione, a volte la testardaggine, di portarle a termine».
Sperava di essere presente alle celebrazioni per il 50esimo anniversario dalla nascita della maison previste durante la settimana della moda di Milano a fine settembre, dove avrebbe dovuto inaugurare una mostra alla Pinacoteca di Brera, la prima dedicata alla moda nel museo. «Sebbene la mia mentalità sia ben lontana dalla volatilità occasionalmente frenetica della moda, non mi piace particolarmente l'idea di essere etichettato come anti moda – aveva detto ancora lo stilista –. Piuttosto, la mia è una posizione in cui lo stile prevale sulle tendenze fugaci che cambiano senza motivo. Se ciò che ho creato 50 anni fa è ancora apprezzato da un pubblico che all'epoca non era nemmeno nato, questa è la ricompensa più grande».
«Il mio obiettivo all'inizio era affermare la mia visione e vestire le persone - aveva proseguito -. In un certo senso, l'idea è rimasta la stessa anche oggi».
«Non so se userei la parola stacanovista, ma il duro lavoro è certamente essenziale per il successo – aveva concluso –. Il mio unico rimpianto nella vita è stato quello di aver trascorso troppe ore a lavorare e non abbastanza tempo con amici e familiari».
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