A Brescia ci sono più di 400 ultracentenari, ma gli uomini sono appena 35
Hanno la grande responsabilità di essere i maggiori portatori di memoria in una comunità, sono l’espressione vivente di una romantica saggezza, rappresentano il patrimonio delle famiglie. Sono i centenari, i cosiddetti «grandi anziani». A Brescia sono 405 e sono disseminati in tutta la provincia, da Desenzano a Gardone Val Trompia, da Botticino a Montichiari, da Lumezzane a Leno. Ma è il capoluogo che conta il numero massimo di ultracentenari: ben 87.
I dati
Qui le quote rosa, però, hanno vinto. Perché oltre il 91% dei bresciani con almeno cento anni è composto da donne: sono 370 le «grandi anziane», a fronte di soli 35 uomini (pari al 9,5% del totale). Sostanzialmente 10 donne ultracentenarie per ogni uomo. Renzo Rozzini, primario della Poliambulanza specializzato in geriatria, smonta stereotipi e caricature lasciandosi andare ad una battuta: «Da una parte c’è chi ha il cromosoma XX, dall’altra chi ha quello XY. Quella gambettina mancante nella seconda lettera del cromosoma maschile è il backup in grado di riparare i processi».
Questioni di genere a parte, la quota dei decani in provincia appare particolarmente diffusa, considerando che c’è almeno un centenario in 126 dei 205 comuni bresciani. E Brescia sembra vivere anche una stagione col più alto livello storico: secondo il Censimento del 2001, infatti, i «grandi anziani» erano solo 94, dei quali 84 donne e 10 uomini.
I fattori
«Siamo in linea con i dati del nord Italia - spiega il dottor Rozzini -, dove vive il maggior numero di centenari in Italia. E questo fenomeno ha un significato preciso: arrivare a cento anni può essere dovuto a tanti fattori, sia di tipo genetico che di tipo comportamentale e ambientale».
Gli studi sostengono che sulla longevità la genetica incide al massimo per il 35%, i comportamenti (come l’alimentazione e il fumo) per il 40%, le circostanze sociali (come il contesto sociale e la rete familiare) per il 15%, la rete ospedaliera per il 10% e l’inquinamento (una ferita aperta del nostro territorio) solo per il 5%.
«Secondo gli studi l’inquinamento non rappresenta un grande peso nella nostra comunità, sembra contare di più lo stile di vita di persone con una buona genetica. C’è anche da sottolineare che laddove si registrano alti indici di inquinamento mediamente c’è anche benessere e un buon contesto sociale mediamente buono» sottolinea Rozzini.
Le rilevazioni demografiche registrano negli ultimi anni un aumento considerevole del numero dei centenari, tanto a Brescia quanto nel resto del Paese, rispetto al passato. Per Rozzini «tutto si spiega con l’effetto coorte», ovvero la differenza osservata tra due o più generazioni, per esempio nell'incidenza di una malattia, e dovuta alle mutazioni ambientali cui sono state esposte.
«La generazione dei centenari di oggi - prosegue il geriatra - non ha fatto la Grande Guerra, ha affrontato solo la Seconda guerra mondiale e il Ventennio ma poi c’è stato il periodo post-bellico che ha consentito di migliorare le condizioni di vita in casa e al lavoro e l’alimentazione. Per intenderci, quando ho iniziato a fare il medico i centenari bresciani erano i ragazzi del ’99».
In salute
Insomma, bisogna contestualizzare la sopravvivenza delle persone in base al periodo di nascita. E poi c’è un’altra differenza tra il presente e il passato: le condizioni in cui si arriva all’ultimo respiro. «Le patologie sono le stesse del passato: si muore di malattie di cuore e celebro-vascolari, di Alzehemeir, di polmonite e di influenza. Ma registriamo che chi muore a cento anni è senza disabilità, significa che le malattie non hanno impattato sull’autosufficienza. Infatti la disabilità si sta riducendo e si arriva in età avanzata con una funzionalità maggiore». E ad influire sulla longevità ci sono anche le migliori cure e la protezione sociale. Ma quanto pesano 405 centenari sul sistema sanitario bresciano? «Poco, sia perché si tratta comunque di poche persone rispetto al totale della popolazione sia perché riescono a mantenere l’autosufficienza in età avanzata e la durata dei bisogni medici-assistenziali è molto breve».
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