A Brescia calano i negozi, ma sono sempre più i ristoranti

Angela Dessì
In 10 anni sono state abbassate 143 serrande del centro storico. Massoletti: «Urgente correre ai ripari: servono politiche attive per salvaguardare la rete del commercio di prossimità»
In dieci anni le chiusure superano il 20% - Foto New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
In dieci anni le chiusure superano il 20% - Foto New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
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Se il commercio al dettaglio soffre ovunque, nel centro storico soffre di più. A dirlo, senza timore di smentita, sono ancora una volta i numeri, in particolare quelli messi nero su bianco dall’Osservatorio sulla demografia d’impresa 2024 realizzato da Confcommercio – Imprese per l’Italia in collaborazione con l’Istituto Tagliacarne.

I negozi

Dati alla mano, alla fine del 2023, ultima rilevazione disponibile, il nostro centro città ha visto abbassarsi 143 saracinesche in 10 anni: da 666 imprese siamo passati a 523, con un calo che supera il 20%. Una percentuale, dunque, di oltre 5 punti al di sopra non solo al calo subito nello stesso decennio dalle attività commerciali bresciane che non insistono sul centro storico (passate da 1.450 a 1.228, in flessione del 15%), ma anche al dato medio regionale, che per il centro città l’Osservatorio calcola in un -13,4%.

I ristoranti

Di contro, nel cuore della nostra città, va decisamente meglio alle attività di ristorazione e accoglienza, che passano dalle 375 del 2013 alle 397 del 2023, con una crescita del 5% circa che riguarda soprattutto i bar ed i ristoranti, ma che raggiunge anche le strutture ricettive, alberghi esclusi (sono gli unici che calano di numero, seppure di poco: nel centro storico passano da 11 a 9).

In crisi

Ma i numeri dicono anche altro: le realtà che stanno scomparendo con maggiore facilità nel centro storico di Brescia sono i negozi di generi alimentari e bevande al dettaglio (da 62 passano a 43, con un calo quasi del 30%) e gli altri negozi specializzati al dettaglio (passano da 358 a 276, perdendo oltre 22 punti percentuali). Soffrono e chiudono anche quelle realtà che una volta facevano parte della rete urbana dei servizi e ora sono usciti dalle città per una diversa e lontana localizzazione, spesso all’interno o nelle vicinanze dei grandi centri commerciali: si tratta, ad esempio, dei negozi di mobili e le pompe di benzina che escono definitivamente o quasi dal perimetro antico.

Commercio ambulante

La riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di imprese del commercio ambulante, un gruppo a sé stante che svolge una funzione complementare all’offerta commerciale in sede fissa. Di contro, crescono i negozi di telefonia e attrezzature informatiche e restano stabili le farmacie ed i tabacchi, segno dei tempi che cambiano e che ne fanno sempre più dei presìdi indispensabili per i servizi al cittadino.

Situazione critica

«La situazione è sempre più critica perché le chiusure aumentano, in numero e velocità» commenta Carlo Massoletti, alla guida di Confcommercio Brescia, che indugia sulla necessità di «correre ai ripari».

«Occorre che l’Amministrazione comunale si faccia carico di politiche attive per salvaguardare la rete del commercio di prossimità, come stanno facendo molte città, tra cui Milano» incita Carlo Massoletti per il quale, però, iniziative come quella sulla mobilità pubblica per favorire lo shopping non sarebbero sufficienti.

«Sono palliativi – tira corto –: per risolvere questo problema bisogna stanziare risorse vere che consentano ai commercianti di superare il momento. Se vogliamo che Brescia sia attrattiva – conclude – dobbiamo creare una rete commerciale attiva altrimenti anche il turismo si affossa».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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