Vittorio Sgarbi; «Ecco la mia Capitale della cultura»

Il critico d'arte ospite ieri in città di Brescia Musei: «Ceruti, Celesti e il Rinascimento sul Garda»
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IL CERUTI INEDITO DI SGARBI
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In conferenza stampa si presenta con la maschera di Zorro sugli occhi in polemica con le norme anticovid. Al sindaco Emilio Del Bono confessa la responsabilità «di aver inflitto alla città dieci anni di Goldin». Punzecchia il gallerista Massimo Minini - che curerà per lui al Mart una mostra su Pierre Klossowski - sul tema dell’arte contemporanea. E annuncia il suo programma per il 2023: una mostra a Riva del Garda sul Rinascimento tra Brescia, Verona e Trento, tirando per la giacchetta Banca Intesa affinché sponsorizzi acquisti e restauri.

Un incontenibile Vittorio Sgarbi è stato ospite ieri in città per presentare il prestito alla pinacoteca Tosio Martinengo del suo ultimo acquisto: il ritratto di Carlo Emanuele Massa di Giacomo Ceruti. E tra il pranzo e l’incontro pubblico, una telefonata con la sorella per definire il progetto di un programma per La7 e una perizia per i carabinieri, tra selfie, dediche e interviste ai media, ha trovato pure il modo di farsi aprire la chiesa del Carmine per una visita fuori orario.

Professore, ci dice quanto ha pagato il suo Ceruti?

«No».

Ha fatto un affare?

«Ho fatto un affare, se uno pensa che il restauratore Casella vuole vendere ai Musei un suo quadro con due pitocchi per 800mila euro».

E Brescia Musei deve comprarlo?

«Deve farselo comprare da Intesa Sanpaolo, con cui ho tre progetti per Brescia Capitale della cultura».

E quali sono?

«Uno è questo acquisto, si metteranno d’accordo poi dovrebbero lasciarlo in deposito ai Musei almeno per il tempo della Capitale della cultura. La seconda è il restauro delle tele del Celesti di Toscolano Maderno, che va completato. La terza, sempre con Intesa Sanpaolo, è il catalogo ragionato della collezione di Villa Bettoni a Bogliaco. Ho in mente queste tre, ma se ne possono immaginare anche altre»

Non ci ha svelato il valore di Ceruti.

«Credo che i pitocchi possano avere un valore vicino al milione di euro, un dipinto come il mio ritratto può valerne 250-300mila. Ho avuto la fortuna di acquistarlo come opera anonima, poi è arrivata la conferma dell’attribuzione. Ceruti è un pittore meraviglioso e nei pitocchi fa cose travolgenti, ma anche nei ritratti più tradizionali ha sempre il guizzo della vita, la vivacità, lo spirito, che pochi pittori colgono».

Presterà il ritratto alla mostra su Ceruti del 2023?

«Per ora non me l’hanno chiesta. In mostra ci saranno comunque almeno una trentina di opere mai viste, come questa».

La Capitale della Cultura sarà utile per Brescia?

«Mah... Può darsi che venga anche bene... Diciamo che il fatto che Brescia non ha dovuto concorrere è stato un bene, rischiava di perdere contro Fossa d’Albero, Ficarolo... Procida ha vinto contro Bari, Arezzo... Sono matti».

Mettiamola così: Brescia come se la può giocare?

«Con molti soldi. E comunque sarebbe stato meglio essere capitale europea della cultura. Ma andrà bene».

Cosa glielo fa pensare?

«Mi pare che ci sia nelle città d’arte una grande vitalità e ripresa della vita. La lunga chiusura è stata stimolante al desiderio di ritrovare quello che ci appartiene. Certo, i tempi sono tristi, perché passare da due anni di guerra civile a un anno in cui c’è la guerra fanno capire che la nostra vita è stata improvvisamente ferita, minata, turbata... C’è molto turbamento anche interiore, ma mi pare che la reazione sia di buttarsi alle spalle il male e riprendersi la vita, e l’arte in questo è importante».

Con i musei chiusi ci sono state le mostre online. Hanno senso?

«No».

Lei sta meglio in un salotto tv o in pinacoteca?

«In pinacoteca, ma solo se non è molto affollata. L’affollamento dei musei è un altro problema. Meglio, le mostre sono affollate, i musei meno. La soluzione è fare mostre dentro nei musei, come l’operazione lanciata oggi».

La polemica fa bene alla tv. E all’arte?

«Pure. In televisione poi ho dei collaboratori fissi come Mughini... bravissimi».

A proposito di polemica, Barilli in un recente articolo contesta la lettura critica dei bresciani del ’500 come precedenti caravaggeschi, suo cavallo di battaglia.

«Barilli non ha mai capito niente, per natura sua. I precedenti caravaggeschi li ha scoperti Roberto Longhi nel 1917, e quello di Barilli è un tradimento fatale, un errore grave. Se c’è una cosa condivisa da tutti gli studiosi sono le "cose bresciane del Cinquecento" da cui viene Caravaggio».

Che opera si porterebbe via dalla Pinacoteca, potendo?

«La Natività del Moretto, quella delle Grazie».

L’anno prossimo scade la convenzione che la affida in deposito ai Musei. Dovrebbe tornare alle Grazie?

«No, è giusto che resti ai Musei».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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