Viaggio nel caveau del crimine bresciano tra armi, droga e oggetti diventati prove
Una regola su tutte. «Devono esserci dai tre ai cinque sigilli in ceralacca e poi il piombino con impresso l’effige delle forze dell’ordine che sigillano. E lo spago attorno al plico non dove scorrere». Poi tutti i pacchi, grandi o piccoli, finiscono nel caveau blindato. Nei sotterranei del Palazzo di giustizia. Dove in pochi possono accedere.
«Solo il personale del mio ufficio. Nemmeno il procuratore capo è autorizzato» racconta Fabrizio Meli, funzionario responsabile dell’Ufficio corpi di reati del tribunale di Brescia. Ci accompagna tra i ripiani dove finisce tutto il materiale sequestrato nelle indagini penali.

Nei sotterranei
L’accesso è consentito solo con il badge e le telecamere immortalano ogni spostamento. Chi immagina un grande magazzino con accatastamenti senza criterio è fuori strada. «Da tempo la collocazione dei reperti avviene per anni e non più alla rinfusa come in passato. Si eliminano i reperti ormai inutili e si compatta il resto». E non si perde nulla, viene assicurato. «L’archivio è tutto digitalizzato» spiega il dirigente che parla davanti alla primo scaffale che incontriamo accedendo al caveau. Su un’etichetta scritta a penna c’è un codice. C2.18.2. «C è la stanza in cui è tenuto il reperto, 2 la campata, 18 il ripiano e 2 la scatola di riferimento» dice Meli.

È il responsabile dell’ufficio dal 1995 e ha toccato con mano la cronaca giudiziaria degli ultimi 30 anni. «Il reperto viene sequestrato, decorsi i giorni per presentare il ricorso al Riesame, viene depositato presso il mio ufficio, registrato e poi portato nei caveau e registrato». In carriera ha catalogato la cintura dell’accappatoio di Clara Bugna uccisa dal marito Bruno Lorandi, i reperti riconducibili alla famiglia Cottarelli e gli oggetti sequestrati a Guglielmo Gatti solo per citare alcuni dei casi che hanno varcato i confini della provincia. E ha gestito anche il trasloco dell’intero magazzino dal vecchio tribunale al nuovo Palagiustizia.
Chi entra viene ripreso dagli occhi elettronici, poi la porta deve essere chiusa e si deve comunicare all’ufficio quattro piani più sopra chi c’è all’interno. Quando la galleria-caveau si apre, troviamo una grande gabbia. Piena di biciclette. «Perché ho voluto questo spazio? Anni fa organizzai un’asta e venne venduta una bicicletta a 20 euro. Accidentalmente mi capitò tra le mani la richiesta di liquidazione del custode che aveva tenuto in carico la due ruote: 1.800 euro. Lo Stato pagò quindi di più di custodia rispetto a quanto incassò dall’asta. Inaccettabile. Da qui era nata l’idea di uno spazio solo per le bici. Così anche se le vendiamo a dieci euro, i soldi vanno tutti nelle casse dello Stato».

I pacchi sigillati
La curiosità è tanta. Siamo autorizzati a guardare tutto. Su ogni pacco, rigorosamente chiuso con i sigilli rossi in ceralacca, c’è il numero dell’indagine, il pm di riferimento, ovviamente i nomi degli indagati e il reato contestato. E descritto il contenuto. Come in un plico archiviato nella campata dei resti più datati. Nella busta impolverata c’è un tampone salivare. È del 1999. «Conserviamo anche il materiale genetico che può essere custodito in questo ambiente e non in celle frigorifere. I reperti delle vicende di omicidio e tentato omicidio con responsabile ignoto vengono conservati perché sono reati che non si prescrivono. Per le vicende ormai chiuse con sentenza definitiva il materiale viene distrutto o venduto» sono le parole del responsabile. «Un esempio? La famosa Fiat Punto blu di Guglielmo Gatti, quella ripresa più volte dalle telecamere nell’estate dell’omicidio degli zii Aldo e Luisa Donegani, è stata venduta all’asta. Anche ad una cifra molto alta. Acquistata da un appassionato di crime».
Nel caveau dei corpi di reato si trova davvero di tutto. Dal «body nero da donna con profili azzurri», al manganello telescopico. All’ultimo ripiano in alto di una scansia in metallo c’è una croce «in legno lavorato». Procedimento 780/17. «Si tratta di un reperto che arriva da un cimitero. Il pm di allora l’aveva fatta sequestrare a Toscolano» ricorda Meli.
Infilata vicino a un vecchio monitor troviamo una sedia da bar confiscata nell’ambito di un’indagine antimafia tra Brescia e Verona. Più ci si avvicina ai giorni nostri e più il materiale è tecnologico. Computer, chiavette usb, telefoni cellulari, hard disk. Dentro un cellophane, etichettata come fosse un pezzo da museo, si intravede una pesante mazza. È stata sequestrata il 25 marzo 2011. Indagine contro ignoti. «Sono quelle utilizzate per le spaccate di bancomat e rapine. Ne abbiamo purtroppo molti di questi strumenti. Piedi di porco o mazze. E pensi che ne abbiamo venduti anche tanti».
Tonnellate di droga

E poi ci sono le armi. Tante. Ma qui si apre un altro mondo. O meglio, un altro caveau. «Armi, droga e preziosi sono dietro quella porta» spiega il responsabile dell’ufficio corpo di reati, l’unico che può accedere al caveau nel caveau. Perché è l’unico ad avere il codice che apre la porta blindata.
Entriamo e l’aria è pesante. L’odore della droga è forte, acre. Impregna gli abiti. «Dal 2009 ho fatto installare deumidificatori per non far ammuffire la sostanza stupefacente e svanire il principio attivo». «Quanta droga c’è? L’80 per cento dei reperti presenti in questo blindato». Cocaina, hashish e eroina. Una montagna di droga, con dosi imbustate e inscatolate.

Cambio di pareti ed ecco le armi. Un’infilata di fucili, mitragliatori e pistole. Ci sono armi utilizzate per le rapine, ma non solo. «Sequestro dopo suicidio» recita un cartellino datato 1996 applicato ad un fucile. «Per un problema di sicurezza non possono essere repertate le munizioni». Spunta pure una balestra al centro di un recente caso di cronaca. Utilizzata da un uomo che aveva cercato di uccidere la suocera. Troviamo anche un fucile a canne mozze finito all’ufficio corpo di reati il 4 aprile 1996. «Se non è stata disposta la distruzione c’è un motivo. Oppure il pm si è dimenticato. Perché c’è questo rischio» ammette Meli. «A tal proposito una o due volte all’anno sfogliamo i vecchi registri e prendiamo nota dei reperti vecchi ancora pendenti. Sono ancora i vecchi registri delle preture. Sono la storia di questo lavoro. Scritti a mano, con calligrafia precisa, riga dopo riga. Volumi enormi che non finiranno mai al macero. Redatto l’elenco facciamo tutte le ricerche».
Il nostro viaggio in questo magazzino immenso si ferma all’ultima scansia. Un cartello dice tutto. «Piazza della Loggia 1974». Entriamo in un museo della storia di Brescia. Ma questa è tutta un’altra storia.
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