Un semaforo giallo tra scarfòi e redàboi

Le operazioni sull'aia annunciavano l'autunno
Campi di mais © www.giornaledibrescia.it
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Contro la nostalgia non puoi farci niente, quando ti prende ti prende. L’ottobre che ci ha appena salutato mi ha lasciato dentro un senso di vuoto. All’inizio non riuscivo a dargli un nome, ma poi finalmente ho capito: mi è mancato il mais. Il furmintù steso sull’aia (sö l’éra) era uno squillante semaforo giallo che segnalava l’arrivo dell’autunno. Ora invece - quasi ovunque - il mais è rasato tra agosto e settembre, per ricavarne trinciato da dare alle mucche e non farina per polente. In molte zone del Bresciano oltre che furmintù, il granturco è chiamato anche melgòt (da mèlga, la pianta di saggina che produce fiori gialli simili alle pannocchie).

Già, la pannocchia. Il füs (come dicevano i miei nonni) o il canù (come dicevano i nonni del paese confinante) veniva staccato e appeso a seccare. Poi in cascina bisognava scarfoià (togliere i polverosi scarfòi, la guaina della pannocchia) e sgranare ( fa zó el furmintù) a mano. Le foglie più pulite finivano addirittura nel materasso. Della pannocchia senza grani restava il mógol (anche detto burù, morsèl, tütol...) che andava dritto in stufa.

Nelle giornate di sole i mucchi di grani venivano spianati a seccare sull’aia col redàbol (un rastrello senza denti, uno strumento «stupido» tanto che redàbol era definita anche una cosa di poco conto o una persona buona a nulla) e raccolti la sera con una pàla rigorosamente in legno e in pezzo unico (non ho mai capito perché, ma se la voleva così chi si spaccava la schiena nei campi una ragione ci sarà stata).
Oggi il luminoso giallo sö l’éra non c’è più, più facile incrociare qua e là qualche redàbol. La nostalgia è così: quando ti prende ti prende.

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