«Troppo grasso per questo lavoro: così l’azienda mi ha scaricato»

Lui dice di non essere stato confermato sul lavoro «perché ciccione». L’azienda nega discriminazioni. Un solo punto in comune: tutti si dicono amareggiati. Emilio Di Capua, residente a Dello, 35 anni dei quali 20 in fabbrica, è un addetto alle macchine rullatrici nel settore metalmeccanico. Dal 2017 fino a un mese fa ha lavorato alla Eredi Gnutti per una cooperativa, che in estate lo ha messo in contratto di solidarietà.
«Temevo di restare a casa, così ho iniziato a guardare gli annunci - racconta Di Capua -. Ad agosto ne ho trovato uno che andava proprio bene per me». Prende contatti con l’agenzia Synergie e viene a sapere che l’azienda proponente è la Ori Martin. «Il contratto di somministrazione era di un mese e mezzo, con sei giorni di prova - spiega -. Ho chiesto se c’erano prospettive perché non volevo licenziarmi senza qualche sicurezza. Mi è stato fatto capire di sì, così ho lasciato la cooperativa». Prima il colloquio con l’agenzia, poi la visita medica: Di Capua (150 kg per un metro e ottanta di altezza) è idoneo al 100%.
Il contratto parte, la scadenza è il 30 novembre. «Prima di iniziare sono andato in Ori Martin a prendere i dispositivi di protezione individuale e la tuta antinfortunistica - prosegue il 35enne -. Non c’era però la mia taglia, mi hanno dato una maglia e intanto sarebbero andati bene anche i miei jeans. Mi hanno detto che ci sarebbero voluti 3-4 giorni». In realtà per la tuta taglia 72 - sostiene oggi l’azienda - sarebbe servito un mese. Bisognava farla su misura. E sarebbe arrivata a ridosso della fine del contratto.
Sta di fatto che con l’equipaggiamento provvisorio Di Capua prende servizio il giorno previsto, il 13 del mese scorso. Due giorni dopo l’agenzia per il lavoro lo chiama e gli anticipa di dovergli riferire una «cosa delicata» e che è atteso in sede, dopo il lavoro. «Mi sono allarmato e ho chiesto spiegazioni al mio capoturno: mi ha detto che non potevo rimanere perché ero ciccione. Sono rimasto senza parole. E all’ufficio del personale mi hanno ripetuto che per la mia stazza non potevo continuare la prova. Avevano paura che mi facessi male». In agenzia la conferma, insieme al foglio di risoluzione del contratto.
«Ci sono rimasto molto male. Ho scritto a loro la mia rabbia e mia moglie a voi la nostra amarezza - ammette l’operaio -. Mi aspettavo le scuse». Ori Martin, che vanta un welfare aziendale dalle radici pluriennali, ribadisce: «Escludiamo discriminazioni. Ci preme la tutela della salute di chi lavora per noi. Ed è così da sempre. Ci spiace ma il problema, con quella mansione, è reale: oltre alla tuta, la stazza del lavoratore lo portava a passare troppo vicino ai macchinari sensorizzati, che suonavano e si fermavano di continuo».
L’azienda si dice «molto amareggiata per l’episodio, un unicum nella storia di Ori Martin, che non ha mai preso lavoratori in somministrazione se non in questa occasione, per supplire al temporaneo e urgente trasferimento di alcuni dipendenti nel nuovo stabilimento di Ospitaletto». Sono 50 i nuovi posti di lavoro creati dall’inizio dell’anno. Per Emilio Di Capua la storia finisce qui. Ha trovato un nuovo corso di formazione e punta a essere assunto in un’azienda di Longhena. «Avrebbero potuto non confermarmi senza dire nulla, no? Non ho dormito per una notte e mi sento ferito, ma sono già oltre. Spero solo che esperienze del genere non capitino più a nessuno».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
