Tra sole e giuggiole un mondo color rözen

«Rüzen - materia color giuggiolino che si genera in sul ferro e che lo consuma». La definizione del settecentesco Vocabolario bresciano e toscano mi manda... in brodo di giuggiole. Mai avevo sentito descrivere con tal delicatezza il processo di deperimento del ferro. Perché delicata è anche la tinta del ruggine, che in modo così inteso colora intimi giardini e ampi panorami in questi giorni d’autunno (sarà un caso che anche la tardiva giuggiola si coglie in questa stagione? oppure il caso non esiste?).
Il termine dialettale (che come il corrispettivo italiano deriva dal latino «aes-aeris», il rame) mi è ricomparso davanti agli occhi grazie alla poesia di una vecchia raccolta di Giuliana Bernasconi. Eccola: «Ciel òrfan de sul / ’ignìt zó a ’ndorà / le fòje sèche del viàl. / Pestèze spere ’n biöm, / nel me nà abelàze, / zgrìzola ’l temp / sa zmórsa ogne riflès / e a’ mé só rözen».
Brevi, intensi versi che sul fronte del lessico regalano chicche. Custodite da quel camminare sulle foglie secche che trasforma «spére ’n biöm». Le spére sono i raggi di luce (per il latino classico «sphaera» era un corpo celeste o anche il tracciato della sua orbita), mentre il biöm è sia il fiorume del fieno che resta sul fondo della mangiatoia sia - per estensione - qualcosa ridotto in pezzettini minuscoli (l’origine del termine guarda al germanico: in tedesco «Blume» è il fiore, in inglese «to bloom» il fiorire). È autunno, il sole - ci suggerisce Bernasconi - si è ormai rifugiato nelle foglie che il nostro passo riduce in frantumi. Un mondo rözen. Intimo e dolce come le giuggiole.
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