Tra moglie e marito non metterci il grasso

Un franco dibattito attorno al cibo e alla tavola Massimo Lanzini·
Un arrosto
Un arrosto
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Quadretto di vita familiare. Al culmine di una franca discussione la mia signora moglie pesca in chissà quale cassetto della memoria mulìebre e chiude il dibattito così: «Ta sét pròpes un gràs de ròst».

Un grasso di arrosto? Resto lì col naso in mezzo alla faccia e non so come reagire. È la prima volta che sento questo modo di dire. Neppure lei sa spiegarmi esattamente cosa volesse dirmi, però lo ha detto in maniera chiarissima. Mi affido ai testi.

Il bellissimo «Vocabolario del dialetto di Borno» di Ghitti e Goldaniga riporta l’espressione e la traduce così: «grasso di arrosto, che ha molte sostanze, molti beni». Dunque mia moglie voleva farmi un complimento? Dal contesto avevo percepito tutt’altro. Mi rivolgo quindi ad una sapiente custode della parlata dei nostri nonni. «Io l’espressione gràs de ròst - spiega - la riservo nelle discussioni a qualcuno che fa la pitima, qualcuno di pesante, difficile da sopportare».

Insomma, forse la luce dei miei occhi voleva dirmi che sono talmente ricco di sostanze da essere persin difficile da digerire, che restare pesantemente sullo stomaco. Adesso ho le idee più chiare e quindi mi preparo a riaprire il dibattito per replicare. Cerco tra le espressioni legate alla tavola una metafora adatta.

Mi balugina un «E alùra spartòm i cücià» ma è francamente eccessivo (non vorrei mai essere preso sul serio...). Forse meglio prendere le distanze con un «Àrda che mé e té gh’óm mài mangiàt la minèstra ’nsèma» ma non risponde a realtà. Poi decido di rilanciare il tema della sostanziosità: «Sét cose gh’è? Che ta sa lamèntet del bröt gràs». E sia chiaro che mi do del brodo, non del brutto.

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