Tra il ’600 e il Liberty: rinasce il palazzo di Dabbeni in città

In via Gramsci a Brescia, restaurato nel 1899 in forme moderne era ornato da pitture ora del tutto sparite
La facciata del palazzo in via Gramsci
La facciata del palazzo in via Gramsci
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Quando la Commissione dell’ornato intervenne, nel 1899, il danno era già fatto. L’architetto-ingegnere Egidio Dabbeni aveva già demolito gran parte della facciata seicentesca del Bagnadore su via Larga, l’attuale via Gramsci, e si apprestava a costruire il primo palazzo Liberty della città.

Quel pezzo di storia dell’architettura bresciana sta rinascendo ora, grazie ai restauratori dello studio Chiappa e Didonè di Brescia, al lavoro sul progetto architettonico dei milanesi Dolce Associati con la supervisione della Soprintendenza. L’operazione è stata voluta da Smartini Srl, la società che ha acquistato il palazzo dagli eredi Capretti.

La storia

«Ci sono secoli di storia tra quelle mura - commenta il nuovo proprietario -, nel Cinquecento era un unico corpo di fabbrica con il confinante convento delle suore, durante la guerra fu sede del comando tedesco, poi del Comitato di liberazione nazionale, gli scantinati furono rifugio antiaereo. Il recupero vuole restituire alla città un po’ di quella bellezza che dà senso al tutto».

Cosa emergerà, una volta tolti i ponteggi, verso fine anno? «Purtroppo le pitture, documentata da disegni progettuali e da minimi frammenti risparmiati dal dilavamento, non si sono salvate - spiega la restauratrice Alessandra Didonè -. Dabbeni aveva immaginato, sopra i timpani delle finestre, figure che reggevano festoni, e teste con elmi nei riquadri tra le finestrelle in alto. Le pitture erano state fatte su un sottile strato d’intonaco che si è perduto».

Il restauro farà risaltare l’apparato decorativo architettonico, «realizzato con una tecnica all’epoca sperimentale - aggiunge la restauratrice - ovvero lastre modellate e stampate in "cementino" utilizzate per mensole, cornici e cornicioni». E valorizzerà l’inedito accostamento tra la facciata di sapore rinascimentale e lo slancio liberty della parte sinistra, con il portale sovrastato da decorazioni floreali, e la trave con motivi a nastro che si innesta sul pinnacolo, scultura-gioiello che si libra nel cielo; la cancellata originaria è invece andata perduta.

«Ogni dettaglio, affidato ad artigiani abilissimi, era studiato e disegnato dal progettista secondo una modalità che oggi non esiste quasi più» sottolinea la restauratrice, «entusiasta» di lavorare sull’edificio, testimonianza dell’opera giovanile di un professionista che negli anni successivi avrebbe fatto del dialogo tra modernismo architettonico e tecnologia ingegneristica la cifra del proprio stile.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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