Tite e Giovanni, la "quiete" dopo la tempesta

I due runner bresciani, al telefono: stiamo bene, dalla gente una solidarietà meravigliosa
Boston, lo sgomento dei runner bresciani
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Il cellulare di Tite Togni squilla, miracolosamente squilla, con il suono profondo e lontano, dolcemente baritonale, dei collegamenti telefonici transoceanici.
Il giorno dopo «il 15 aprile» (perchè d'ora in avanti ne parleremo così, come per l'11.09.2001), la maratoneta bresciana che lunedì sera aveva twittato «sono salva per un pelo», viaggia in direzione Newark, New Jersey. Deve, o meglio spera di, riuscire a imbarcarsi su un aereo per le Bahamas, da cui raggiungere poi Cuba.

«Voglio esplorare una montagna e vado a vedere prima il territorio», dice. Intanto, però, deve attraversare questa autostrada «presidiata ogni 300 metri da una camionetta militare».
Ma martedì dov'era al momento dell'attentato, come l'ha vissuto? «Stavo tornando in taxi all'albergo, come ho finito la mia corsa me ne sono andata. Ho saputo in camera quello che era successo». Già, un «pelo» di ritardo, e si sarebbe trovata lì in mezzo al sangue, le urla, le schegge. Al caos.

«Stamattina siamo usciti in gruppo per la città, indossando la maglietta della maratona. Ad ogni angolo poliziotti, militari, in assetto di guerra. Ma la gente ci fermava lo stesso, ci abbracciava, ci sorrideva, ci chiedeva 'come state', la solidarietà in America è una cosa meravigliosa. Questo è anche un Paese abituato a sentirsi perennemente in guerra, la risposta è stata immediata, l'efficienza massima». Buonasera.

Anche il telefonino di Giovanni Benedusi squilla. Anche Giovanni, come Tite e come Federico Pozzi, era a Boston per i colori dell'«Atletica Brescia Marathon», la società fondata da Alessio Giugno. «Ma avevo la febbre a 39, e non ho potuto correre. È stata la mia fortuna». Pausa, poi riprende: «Mia moglie Gabriella e mia figlia Monica, di 18 anni, sarebbero state lì al traguardo ad aspettarmi, proprio dove si è abbattuta l'onda d'urto delle esplosioni».

Benedetta febbre. È più sollevato Giovanni: «Oggi la vita è tornata quasi alla normalità, la gente è sotto choc, ma è forte, reagisce. Noi torniamo a casa domani. Un ricordo incancellabile».

Valerio Di Donato

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