Tiboni: Bis tecnico tra qualità e burocrazia

«Occhi sulle aree dismesse e un patto con i privati: saremo alleati di chi vorrà scommettere sulla città»
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A chi, nel 2013, le chiedeva se la matita che avrebbe ritratteggiato la «sua Brescia» sarebbe stata (anche) quella di una grande firma, con architetture arzigogolate e altisonanti, ha risposto così: «Penso a una città dell’uomo e non dei progetti, alla città dei quartieri e dei cittadini e non alla città meta di archistar che spesso realizzano contenitori in cerca di contenuto». Eccolo, il «segno particolare» di Michela Tiboni, al suo secondo mandato tecnico alla guida dell’Urbanistica: gli occhi concentrati innanzitutto sulle persone, un tratto che ha dimostrato tanto sul campo quanto in squadra, dando vita al suo Rinascimento urbano e rappresentando in Giunta il punto di equilibrio. Con la discrezione di chi sa che proprio squadernare punti di vista differenti porta a scoprire intersezioni (urbanistiche e, quindi, collettive) inattese ed esigenze alle quali fornire risposte.

Lei è l’unico assessore che non ha affrontato la prova del voto. Segno di grande fiducia da parte del sindaco... «Nel 2013 sono entrata in Giunta come tecnico: è stata una grande occasione per mettermi al servizio della città e un’importante opportunità di crescita. Mi ha fatto piacere che mi abbia chiesto di proseguire nella stessa veste di tecnico: abbiamo lavorato bene. Ma credo che la motivazione vada anche ricercata nella specificità della mia delega, nel ruolo che spesso l’urbanistica ha di fare sintesi, avendo attenzione alle diverse anime di un’Amministrazione. Il mio assessorato è come un filo: da solo può fare ben poco di duraturo, servono tutti i fili dell’amministrazione per tessere una buona trama.

Nel 2013 la grande sfida era la variante al Pgt: quale quella del 2018? «Con il Pgt abbiamo disegnato l’idea della Brescia che vogliamo: una città che non si espande a macchia d’olio verso l’esterno, sottraendo spazio al verde, ma una città che si prende cura di sé dall’interno. La sfida oggi è permettere a questo disegno di diventare realtà. E poiché gli attori fondamentali sono i proprietari delle aree e degli edifici, dobbiamo poter affiancare al meglio chi vuole operare a Brescia, che si tratti del cittadino che vuole recuperare un alloggio, di un operatore che vuole recuperare una ex area industriale, o di un soggetto che vuole realizzare un nuovo servizio di interesse per la città. Chi vuole aiutarci e prendersi cura della città fisica deve trovare, nei settori che mi competono, non solo controllori del rispetto delle norme, ma validi e fedeli alleati per raggiungere l’obiettivo».

In concreto, quali sono le priorità dei prossimi anni? «È necessario ridurre i tempi per il rilascio dei permessi di costruire e, appunto, migliorare le modalità di interfaccia tra pubblico e privato. Quindi, favorire il recupero delle aree dismesse e, infine, far diventare sempre più l’Urban center un luogo di informazione sulla città che si trasforma».

Lei ha spiegato che vorrebbe rendere Brescia a misura di bambino: cosa significa e come farlo? «Per me, che sono cresciuta e mi sono fatta le ossa nel mondo della ricerca in università, in una scuola di urbanistica che si è distinta a livello nazionale ed internazionale nel portare avanti il concetto di "città amica", pianificare e progettare la città significa anche renderla più sicura e vivibile. E farlo con l’attenzione al più debole, il bambino come l’anziano, permette di costruire una città a misura di tutti. Una città amica è ad esempio una città in cui i bambini possono fruire in sicurezza dello spazio pubblico per il gioco e la scoperta, possono andare a scuola a piedi e in bicicletta. Ma per fare questo serve un lavoro di squadra, dove l’urbanistica può fare la sua parte, ma dove è fondamentale il contributo di tutti i settori».

Quale l’impronta della Brescia del 2023? «Dobbiamo proseguire sulla strada della qualità dei servizi, della rigenerazione e della bellezza prendendoci cura di ciò che è dentro la città. A partire dalla cintura verde che sta attorno a Brescia: è una grande risorsa, che può aiutare a ridurre le criticità ambientali ed è anche un punto di forza in termini di attrattività. Credo che potremo dire di aver fatto bene il nostro lavoro se Brescia tra 5 anni sarà diventata ancora più bella e attraente. La nostra città può giocare un ruolo importante, non solo per se stessa, ma come modello per il territorio circostante: il capoluogo deve essere un riferimento concreto attorno al quale si organizza la rete delle specificità locali della nostra provincia. Rafforzare la rete con gli altri capoluoghi, in particolare quelli della Lombardia orientale, significa dare forza e visibilità a proposte che singolarmente perdono rilievo e che, invece, attraverso le relazioni possono acquisire maggior peso.

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