Tartaglia: se la scuola diventa via per la libertà

L'Istituto tecnico Niccolò Tartaglia è una delle scuole storiche cittadine; nel 2012, infatti, ha festeggiato i suoi primi 150 anni. Nella nostra provincia il Tartaglia è l'unica scuola a questo indirizzo che differenzia i propri percorsi proponendo un corso di base denominato CAT, due sezioni di un corso denominato «Tecnologie del legno nelle costruzioni» e il nuovo indirizzo geotecnico. Accanto ai corsi diurni, il Tartaglia propone un corso serale ed è stata la prima scuola bresciana a creare una sezione in carcere, tra la metà e la fine degli anni '90. Dal corrente anno scolastico all'Istituto Tecnico è stato accorpato il Liceo Artistico Olivieri. A dirigere la scuola, da tre anni, è il professor Paolo Taddei.
La legge italiana prevede una pena per quanti sbagliano ma, al contempo, prevede che i carcerati siano rieducati alla società: quanto può fare la scuola in questo senso? «La scuola può sicuramente fare molto per i carcerati, favorendo in loro la nascita di un sentimento di liberazione e aiutandoli a prepararsi a un futuro rientro in società».
Quali caratteristiche deve avere un insegnante per operare nel carcere?
«Un buon insegnante, per essere in grado di operare all'interno del carcere dev'essere una persona dal cuore grande, retta da forti motivazioni e convinzioni e profondamente innamorata dell'insegnamento in un contesto difficile come questo. A questo proposito, devo ammettere di essere grato ai nostri insegnanti che vi operano: nonostante le difficoltà, ogni anno la nostra scuola riesce a portare alcuni alunni al traguardo del diploma, indice che il lavoro svolto dai docenti è sicuramente valido. All'interno del carcere il nostro istituto ha tre docenti di ruolo mentre altri insegnanti completano l'organico, per un totale di circa trenta alunni; l'organizzazione della scuola in carcere è affidata da alcuni anni, oltre che alla nostra scuola, all'Istituto Fortuny. Dal Tartaglia provengono i docenti delle materie comuni e alcuni docenti d'indirizzo».
Dante dipinge l'inferno come un luogo dove il tempo non scorre mai. Anche nel carcere il tempo sembra non avere mai fine. Crede che la cultura e la scuola possano dare nuovi stimoli a quanti scontano una pena?
«Si, indubbiamente. Parlando con loro, infatti, si può intuire che i carcerati vivono la scuola come un momento di libertà e confronto con l'esterno; costretti a vivere in celle anguste, infatti, la possibilità di uscirne è per loro di grande importanza. Anche la cultura ha però i suoi meriti: per questo motivo, come scuola, cerchiamo di finanziare, ogni anno, attività culturali a favore del carcere accanto alle associazioni che vi operano».
Pensa che inviterà gli studenti della sua scuola a prender parte al concorso "Palla al Piede"?
«Sicuramente diffonderò il bando: ai docenti andrà poi il compito di sensibilizzare gli studenti a parteciparvi».
Che cosa vorrebbe dire alle giovani generazioni che affrontano la vita?
«A loro vorrei dire di darsi una buona e valida meta e di fare di tutto per raggiungerla».
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