Spese pazze in Regione, Pdl e Lega sotto inchiesta

Rimborsi con soldi pubblici: 22 consiglieri indagati a Milano. Tra i bresciani Moretti, Toscani (comprò anche ostriche) e Marelli.
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L’ennesimo terremoto giudiziario scuote il Pirellone, con le elezioni regionali in vista, dopo lo scioglimento del consiglio spazzato via da una serie d'inchieste per corruzione e dall’arresto di un assessore per voto di scambio con la ’ndrangheta. Stavolta, però, in un sol colpo è finita nel registro degli indagati una quarantina di consiglieri lombardi - tra attuali (anche se dimissionari) ed ex - e tra loro anche Nicole Minetti e Renzo Bossi. Tutti accusati di peculato in un’inchiesta che, sulla scia del caso Fiorito e di altre indagini aperte da nord a sud, avrebbe accertato spese «folli» con i soldi pubblici e una sorta di gestione «privatistica» dei rimborsi regionali da parte dei gruppi di Pdl e Lega.

Il nucleo di polizia tributaria della Finanza milanese ha notificato ieri 22 inviti a comparire per altrettanti consiglieri regionali (11 del Pdl e 11 del Carroccio), contestando in totale 2 milioni di spese sospette. Si va da cene in ristoranti di lusso che hanno superato a volte anche i mille euro agli scontrini per caffè e brioche giustificati come spese istituzionali, fino all’acquisto di salumi, carne, pane, caramelle, ma anche computer, gratta e vinci e «munizioni» per la caccia, oltre a oggetti curiosi (una clessidra e fuochi d’artificio).

Nei prossimi giorni i finanzieri dovrebbero notificare anche un’altra ventina d’informazioni di garanzia, andando quindi a coprire quasi l’intera maggioranza Pdl-Lega in consiglio. E poi l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio, potrebbe anche allargarsi ancora nei numeri. Sempre in mattinata, infatti, la Finanza è entrata nel palazzo della Regione per acquisire i documenti sui rendiconti di tutti gli altri gruppi consiliari (Pd, Idv, Sel, Udc, Gruppo misto, Pensionati) ma anche della giunta e della presidenza della Regione per verificare le «spese aventi a oggetto attività di comunicazione, rappresentanza, collaborazioni/consulenze».

La squadra di finanzieri che, tra l'altro, ha già condotto l’inchiesta sui fondi del Carroccio (nella quale è indagato anche Umberto Bossi) ha lavorato sui rendiconti di Pdl e Lega per due mesi (a ottobre le acquisizioni con i primi tre indagati). Negli inviti a comparire si contesta a ognuno dei 22 consiglieri di essersi appropriato di soldi di cui aveva la «disponibilità» in base a una legge regionale del ’72 (quella sui rimborsi per i costi della politica), prelevandoli dal «contributo stanziato al fine di assicurare l’espletamento del mandato», ma usandoli per spese «estranee» all’attività istituzionale.

Tra gli indagati, i tre leghisti bresciani Alessandro Marelli, Pierluigi Toscani ed Enio Moretti, il capogruppo del Pdl, Paolo Valentini, e quello del Carroccio, Stefano Galli. A Valentini i pm contestano sperperi sospetti per oltre 118mila euro, tra il 2008 e il 2012 (ma secondo altre fonti la cifra potrebbe arrivare a sfiorare i 190mila euro): negli atti tante cene per il capogruppo Pdl e anche una da «1.560 euro» per «26 coperti». Nicole Minetti, come gli altri, ha ricevuto assieme all’invito a comparire un lungo elenco di uscite che le vengono imputate, per 27mila euro in 3 anni: tra queste gli 899 euro per un IPhone, e poi «consumazioni» per 832 euro all’Hotel Principe di Savoia, «400 euro» per una cena da «Giannino», diverse cene in un ristorante giapponese, taxi, ma anche 16 euro (sempre soldi pubblici) per comprare il libro «Mignottocrazia» di Paolo Guzzanti.

Renzo Bossi, invece - che risulta indagato anche se, come fa sapere il suo avvocato, Alessandro Diddi, non ha al momento ricevuto informazioni di garanzia - avrebbe acquistato coi soldi del gruppo (si è dimesso lo scorso aprile) videogiochi, sigarette e bibite, in particolare lattine di bibite energetiche. Dempre nella nota dell’avvocato Diddi, si esprime l’auspicio «qualora esistessero sospetti sulla correttezza sull’operato di Renzo Bossi», di «essere immediatamente ascoltati per dimostrare l’assoluta falsità di quanto è allo stesso attribuito».

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