Siria, il racconto del bresciano Michele Borra nel Rojava: «Armi chimiche e raid aerei»

L'offensiva turca nel Nord del Paese continua. «Siamo stati costretti ad interrompere il viaggio dopo i bombardamenti del 20 novembre»
I quattro volontari tornati dalla Siria: Andrea Zorzanello, Ludovica Intelisano e Laura Torrisi e Michele Borra - Foto © www.giornaledibrescia.it
I quattro volontari tornati dalla Siria: Andrea Zorzanello, Ludovica Intelisano e Laura Torrisi e Michele Borra - Foto © www.giornaledibrescia.it
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È ormai giunta al decimo giorno la nuova offensiva turca nella regione autonoma curda del Rojava, nel nord-est della Siria, al confine meridionale della Turchia. L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Geir Pedersen, ha espresso al Consiglio di sicurezza, preoccupazione per una grave tendenza all’escalation di operazioni militari. Tra i testimoni oculari dell’attacco c’è anche un bresciano: si tratta di Michele Borra, 31 anni, redattore di Radio Onda d’Urto, che ieri mattina ha raccontato la sua esperienza di viaggio nella sede cittadina dell’emittente. Presenti anche alcuni degli altri partecipanti del viaggio di solidarietà: Andrea Zorzanello, Ludovica Intelisano e Laura Torrisi.

Testimonianza

«Il mio reportage affianca il "viaggio di solidarietà" che in sei - io da Brescia, gli altri cinque, tra studenti e volontari, da Catania - abbiamo scelto di intraprendere in terra curda, pur consapevoli dei rischi che correvamo» racconta Borra. «Il 16 novembre il gruppo è arrivato a Dayrik (Al-Malikiyah), nel Rojava orientale - prosegue - passando per il confine iracheno, che avevamo raggiunto via terra dopo essere atterrati a Baghdad. Durante la nostra visita, l’operazione militare "Claw-Sword" (Spada d’Artiglio) ha avuto inizio simultaneamente nell’area di Dayrik, nel resto della Siria curda e nell’Iraq curdo. Dopo i bombardamenti del 20 novembre, siamo stati costretti a lasciare la regione» conclude, con una nota di amarezza.

Funerali delle vittime dei bombardamenti turchi - © Foto Michele Borra
Funerali delle vittime dei bombardamenti turchi - © Foto Michele Borra

Conflitto

Dal 2011, la Siria è dilaniata da una guerra internazionale: prima i contrasti interni tra Damasco e gli oppositori del regime Assad, poi la lotta contro lo Stato Islamico (ISIS), che ha coinvolto anche Usa, Russia, Iran e altre potenze regionali, infine, dal 2018, la Turchia. Non tutti i siriani sono nel mirino di Ankara: ad essere minacciato è il territorio a maggioranza curda, detto Rojava o AASNE (Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est), separatosi dal resto del paese nel 2012. A detta delle Forze Democratiche Siriane (Fds), il Rojava costituirebbe il primo modello di «confederazione democratica» inl Medio Oriente. L’impostazione inclusiva, equa e pluralistica (nei confronti di donne e minoranze) di questo Stato non riconosciuto dalla Comunità internazionale ha garantito alle FDS l’appoggio dell’Occidente, almeno fino al ritiro delle forze Usa nel 2018. Non sono mancate però le contraddizioni: Human Rights Watch e Amnesty avevano infatti segnalato, nel 2014 e nel 2015, abusi da parte dei curdi sugli oppositori politici e sulle neo-annesse comunità arabe.

Gli interessi di Ankara

Il recente attacco turco punta all’intera zona di confine con il nord-est siriano, per un totale 700km. Erdogan sostiene che «gli arabi siano gli abitanti migliori per questi luoghi»; ciò rientrerebbe nell’ottica di uno stato pan-turco, a danno di curdi, armeni, ezidi e altre etnie. C’è anche la questione del Pkk, contro il quale la Turchia combatte dal 1978. A fondare il Rojava è stata proprio la milizia del ramo siriano del Pkk, chiamata Ypg. «Le offensive turche sono state nel 2018, nel 2019 e nel 2020. - spiega Laura Torrisi - L’esercito attacca per via aerea, ma anche via terra, usa armi chimiche e droni kamikaze. Vengono colpiti pozzi petroliferi, silos di grano, scuole e ospedali. Nel bombardamento del villaggio vicino a Dayrik hanno perso la vita 11 persone».

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