«Siamo tutti sotto lo stesso cielo»

Una nuova, ispiratrice riflessione di Augusta Amolini che ci porta a riflettere sull'infinito semplicemente affacciandosi al balcone
Cielo, terra e mente - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Quando la sera esco sul balcone per sistemare la spazzatura alzo gli occhi al cielo e puntuale mi torna il solito pensiero. Rifletto sulla meraviglia di poter guardare la stessa luna che ogni persona a cui voglio bene vede, ovunque essa sia. Noi siamo tutti sotto lo stesso cielo che ci avvolge e ci sovrasta, dove è sempre più difficile misurare la giusta distanza dalle cose.

Pochi riescono a mettere in atto quanto insegnava Seneca: «animum debes mutare non caelum», significando che per modificare il proprio stato d’animo bisogna cambiare il modo di pensare non il luogo dove stare. Se consideriamo l’universo tocchiamo la nostra incapacità di comprendere l’infinito, seppure molti credono che negli spazi siderali disseminati di materia qualche entità più evoluta possa ricomporre in immagini gli impulsi che si propagano dal nostro mondo inquieto.

Qualcuno a cui noi umani diamo una forma antropomorfa forse saprà ascoltare i rumori della Terra, originati da guerre, miseria e ingiustizie sociali, stemperati dall’azzurro degli oceani, dal bianco della Groenlandia e il verde dell’Amazzonia, ma vedrà anche la progressiva desertificazione e le devastazioni ambientali.

Come per il trailer di un film consegnamo a osservatori incerti le prove dell’incapacità di coesistere su un pianeta portato alla deriva dalla specie più evoluta, dove finzione e realtà potranno essere confuse. Cosa potranno pensare vedendo l’umanità attraverso le immagini di «Arancia meccanica»? E del medioevo contemporaneo che appare nei film di Abbas Kiarostami ambientati nel crocevia dell’Asia?

Gli spazi infiniti conserveranno l’ologramma di una società distruttiva che ha tessuto uno scampolo di storia del quale non possiamo certo essere fieri. Nell’antico Egitto la terra era rappresentata da una divinità maschile e la volta celeste identificava la dea Nut, in un caso forse unico di inversione dei ruoli tradizionali dove il cielo è madre e la terra padre.

Una raffigurazione capovolta della creazione dove tutto è ugualmente perfetto, poiché l’incontro misterioso degli opposti complementari origina sempre la vita. Chissà se in un mondo parallelo seppure al contrario esiste la vita, se un’altra me stessa uscendo sul balcone annusa l’odore della notte guardando la luna. Qualche volta è necessario spegnere la realtà e puntare il naso verso il cielo, sopra le scie luminose degli aerei notturni pensando all’occasione irripetibile di essere stati qui, prima di diventare un ricordo nel battito d’ali dell’infinito.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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