Si scava la vasca di laminazione a Virle, si trova un villaggio del Neolitico

Trovati sei focolari, vasi, selci e una pintadera. Il cantiere di Consorzio e Comune fermo tre mesi
Gli scavi a Rezzato - © www.giornaledibrescia.it
Gli scavi a Rezzato - © www.giornaledibrescia.it
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Resti di sei focolari e una piccola fornace risalenti al Neolitico medio, IV millennio, frammenti di vasi, selci e un oggetto molto raro, una parte di «pintadera»: questo quanto scopeto nell’area di Virle Treponti dove da alcuni mesi il Consorzio del Medio Chiese e il Comune di Rezzato avevano iniziato i lavori per la realizzazione di una grande vasca di laminazione. Durante gli scavi gli operai hanno rinvenuto frammenti di vasi di ceramica quindi è stata allertata la Soprintendenza e i lavori sono stati momentaneamente interrotti.

Uno stop che ha destando curiosità e molte illazioni nella frazione di Rezzato: durante i rilievi, infatti, si è scelto di mantenere un basso profilo per dar modo agli archeologi di recuperare tutti gli importanti reperti e lavorare in tranquillità. Ecco che, con la chiusura di ieri di questa fase, la Sovrintendenza ha reso noto il ritrovamento.

Reperti

Per Virle non è la prima volta: nelle vicinanze vi è un altro sito già noto come Ca’ de’ Grii, dove negli anni sono stati fatti altri ritrovamenti.

Quanto rinvenuto è stato smontato e asportato e sarà ora sottoposto anche a datazione con esami tecnici come il carbonio 14, per avere più certezze. «Saranno eseguite anche analisi paleobotaniche - prosegue l’archeologa - per capire che tipo di legno avessero usato e se siano presenti anche dei semi». I focolari si presentano oggi come «una sorta di piastra di terracotta. Nel neolitico venivano realizzati scavando fosse che venivano impermeabilizzate con cocci o argilla. Fuoco e calore hanno cotto la terra».

Sopra i focolari però gli archeologi hanno rinvenuto anche «pacchi alluvionali» (strati di argilla) segno che nei millenni quell’area era già stata soggetta ad alluvioni. Per quanto riguarda la pintadera, l’oggetto più raro tra i rinvenuti, «si tratta di uno strumento in terracotta con due facce, di cui una con una decorazione simile ad un timbro - spiega la dottoressa Cristina Longhi, funzionario archeologico della Soprintendenza ai beni culturali - forse, ma è solo un’ipotesi, serviva per decorare i tessuti o per contrassegnare le forme di pane che venivano preparate nei forni comuni».

Al cantiere della Soprintendenza - una superficie di 400 metri quadrati circa - insieme agli archeologi hanno lavorato anche due geologi specialisti, «chiamati per leggere la stratigrafia e per ricostruire la storia geologia di quell’area».

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