Si fa presto a dire resilienza

Resilienza, una parola relativamente sconosciuta ai più fino a pochi mesi fa, oggi in forza della pandemia frequenta con insistenza un po’ sospetta il nostro lessico quotidiano (per dire: ha spopolato negli scambi d’auguri per l’anno nuovo).
Il termine è mutuato dalla tecnologia: nei materiali definisce la resistenza alla rottura sotto sollecitazione dinamica (è il contrario di fragilità), nei tessuti l’attitudine a riprendere l’aspetto originale dopo una deformazione. Nell’ambito della psicologia indica invece la capacità reattiva di una persona di fronte a difficoltà o traumi, con il recupero di un equilibrio tramite la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della struttura della personalità.
Ed è proprio confrontandoci con quest’ultimo passaggio, che possiamo capire l’indice reale della nostra effettiva resilienza: come persone e comunità. Riorganizzazione in chiave positiva, nel ripristinare un equilibrio di fronte al trauma... Guardandoci intorno con disincanto, forse qualche dubbio sorge sulle affrettate medaglie di «resilienti» che ci siamo appuntati con orgoglio sul petto. La resilienza non vuole dire esattamente trasformarsi in «muri di gomma», perché in genere essa esige alcune fondamentali compagne di viaggio.
Ad esempio l’attenzione a cogliere nelle loro dimensioni e nei loro dettagli le sfide. O, ancora, la saldezza di nervi nel coraggio di guardare avanti e pensarsi al futuro, e insieme la flessibilità per avventurarsi su strade inedite in cerca di soluzioni innovative quando le vie già battute si rivelano a fondo chiuso.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
