Sepulveda, il ghidàs e il pane condiviso

I contagiosi ponti linguistici fra mondi lontani: come un racconto sudamericano può allacciarsi al nostro dialetto
Testimone di nozze in dialetto bresciano si dice compàr
Testimone di nozze in dialetto bresciano si dice compàr
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E se Dialèktika fosse contagiosa? I segnali ci sono tutti, chi ne viene in contatto mostra terribili sintomi: il cervello comincia a muoversi in autonomia costruendo ponti linguistici fra mondi lontani. È accaduto alla nostra Giuliana, bresciana schietta, lettrice curiosa e sorridente. «Avevo tra le mani il racconto di Sepulveda che si intitola Compa - confessa - e improvvisamente mi sono venute in mente parole della mia infanzia e persone che mi hanno voluto bene».

La parola compa - ci dice Sepulveda - in America Latina evoca sia compadre sia compañero. In dialetto bresciano vivono invece due termini distinti. Il primo è compàr, l’italiano compare. Che deriva la latino tardo compatrem, cioè cum-pater, colui che condivide simbolicamente la paternità. E infatti si parla di compàr de batès per indicare il padrino del battesimo (che quando pesca nella nostra memoria linguistica gotica porta invece al termine ghidàs). Per estensione il compàr de l’anèl è il testimone di nozze.

Al femminile si parla di comàr, da cum-mater, che nel nostro dialetto indica - oltre che la donna pettegola - soprattutto l’ostetrica, colei che condivide la fatica e il miracolo di una nascita. Il secondo termine è compàgn (da cum-panis), colui che con noi condivide il pane e quindi gli alti e i bassi della vita. Due compàgn sono due persone che hanno molto in comune, che sono simili.

Infatti in dialetto bresciano il termine compàgn traduce anche l’aggettivo italiano uguale o gli avverbi così e come. Quindi si può dire: «Encö l’è compàgn de iér». Oppure «Sepulveda? Un liber bèl compàgn l’ìe mai lizìt». Una lettura contagiosa.

 

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