Separatismi, c’è un’ombra che oscura l’Europa

Ad Alghero rimbomba l’inno catalano. Applausi scroscianti e abbracci. Qualcuno piange. Carles Puigdemont viene avvolto da migliaia di catalani in vacanza in Sardegna. Pare Fidel Castro a Leningrado nel 1963. Era fuggito nel 2017 per sottrarsi ad un ordine di cattura di Madrid per ribellione. Ma senza coda tra le gambe. Alle spalle aveva un pezzo di Spagna che faceva il tifo per l’artefice del sogno secessionista catalano. E tifa ancora oggi. Perché le ideologie tramontano ma le ambizioni separatiste restano. Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, ma anche Fiandre, Vallonia, Corsica e Bretagna. Non c’è Paese europeo che non sia stato teatro dell’ascesa dei localismi. È una pentola che ribolle.
E in Italia dovremmo saperlo: all’indipendentismo padano di fine XX secolo versione Lega risponde il fitto sottobosco di movimenti meridionalisti che pullulano nell’altra metà dello Stivale. Secessionismo, separatismo, indipendentismo. La suggestiva nomenclatura si traduce in una parola: divisione. Ovvero l’antitesi del Manifesto di Ventotene sulla promozione dell’unità europea.
Perché la diversità culturale di pezzi di mondo non si esalta con la scissione. Ma il virus è difficile da estirpare, così all’arresto del leader la politica sarda ha attaccato: «Vergognoso, la nostra tradizione indipendentista è mortificata». Ci risiamo.
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