Sempre meno iscritti a Giurisprudenza e tanti avvocati si cancellano dall'Ordine

«Avvocato? Anche no, grazie». Ammesso si riesca a trovare un giovane laureato al quale chiedere cosa vuole fare da grande, complice il crollo della natalità e il vistoso arretramento delle immatricolazioni e delle lauree nelle materie giuridiche, le probabilità che questi risponda proprio così sono sempre di più.
Non solo. Alla stessa domanda, e con la stessa risposta, da qualche anno rischia di rispondere anche chi avvocato lo è già, e magari da anni. Se le nuove iscrizioni all’Ordine si contano in poche decine, le richieste di cancellazione dall’albo sono una costante significativa, e probabilmente specchio di un sentire sempre più diffuso. Ad appendere la toga al chiodo sono molti meno avvocati di quanti hanno pensato di farlo almeno una volta. Il Censis stima che l’idea sia venuta ad almeno 3 professionisti su 10.
Ordine professionale
A Brescia, nel 2022, sono stati in tutto 45 gli avvocati cancellati dall’Ordine. Di questi solo 7 si sono trasferiti o sono stati cancellati d’ufficio o sono deceduti. Gli altri 38 hanno chiesto di essere espunti e sono stati accontentati. Si tratta nel dettaglio di 9 uomini e 29 donne. Di questi avvocati non più in attività 25 hanno meno di 45 anni (4 sono maschi, 21 sono femmine). I 45 «cancellati» rappresentano poco meno della metà dei nuovi iscritti all’Ordine che, nel 2022, sono stati 101 (38 uomini e 63 donne).
Alla fine dello scorso anno, partenze e arrivi inclusi, erano 2.704 gli avvocati bresciani in attività. Tanti o pochi che siano sono sostanzialmente gli stessi di cinque anni fa, almeno in termini numerici. Alla fine del 2018 erano 2.633 e pochi di più negli anni successivi. Così è stato fino al 2021 anno nel quale si è registrato il primo calo di iscritti rispetto all’anno precedente dell’intera serie storica.
La professione, anche a Brescia, ha perso appeal con il secondo decennio del 2000. Gli avvocati sono raddoppiati dal debutto del nuovo millennio al 2013, passando da 1.205 a 2.407. Negli ultimi 10 anni invece la loro crescita ha viaggiato dietro la safety car, a velocità controllata.
Università
Il calo di immatricolazioni e lauree alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia sono, in linea e in sincrono con la crisi dell’avvocatura. Ne è una delle probabili cause. Dal 2001 al 2010 si iscrivevano a «legge» circa 650 matricole all’anno, con un picco di 742 (delle quali 402 donne) nell’anno accademico 2004/2005. L’inizio della discesa nel 2010/2011 con una media di 376 immatricolazioni annue. Il punto più basso nel 2018/2019 con 317 iscritti al primo anno, poi una lenta risalita fino ai 407 immatricolati dell’anno accademico in corso.
In 23 anni la Statale ha stampato 5.367 lauree e le ha conferite a 3.485 dottoresse e a 1.882 dottori in giurisprudenza. Detto che il titolo è sempre più femminile, resta da ricordare, ancora una volta, che l’età dell’oro di «Giuri», prima del crollo, risale al periodo compreso tra il 2004 e il 2010, con i 347 laureati del 2006 a segnare l’inattaccabile record del nuovo millennio. È probabile che qualcuno di loro sia tra quei 25 under45 che hanno abbandonato la professione alla fine dello scorso anno. Che sia la legge del contrapasso?
Incertezze
Ma cosa spinge una persona che ha sudato su tomi che raramente hanno meno di mille pagine e pesano meno di 2 kg, che non ha dormito stagioni intere, che ha passato estati rinchiusa in casa a studiare per l’esame di abilitazione, e magari l’ha sostenuto più volte, cosa spinge questi professionisti del comma a mollare tutto poco dopo aver superato il traguardo? Probabilmente la stessa ragione che tiene lontane le matricole da Giurisprudenza: gli orizzonti di carriera e di guadagno per i più sono troppo lontani per giustificare impegno e studio costanti, rinunce ed investimenti, anche se di mamma e papà. Di certo non aiuta non sapere quando si inizierà a guadagnare per mantenere se stessi e magari una famiglia.
Non agevola nemmeno non poter dedicarsi a lavori part time, perché a tempo pieno su fascicoli e giurisprudenza, e non sapere nemmeno per quanto si dovrà chiedere una mano a casa per sostenere il costo della vita e della professione: tra bollette, affitti, marche, archivi, libri, cassa previdenziale e tasse, per tacere dei costi che l’autoinsufficienza comporta in termini di autostima. Prima o poi arriveranno le parcelle, dirà qualcuno. Più poi che prima: il cliente che paga è sempre più una rarità. Quello che non paga abbonda e, complice l’eterno stato di crisi in cui versiamo dal 2000, paga sempre meno. Sono i rischi della professione, dicono, prendere o lasciare. Già, lasciare.
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