Se le donne che subiscono violenza vengono fatte sentire colpevoli

Si chiama vittimizzazione secondaria ed è un fenomeno molto presente in Italia, che è stata più volte condannata dall'Europa
  • Le immagini del convegno che si è svolto al Palazzo di Giustizia
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A una donna che subisce violenza di genere, cioè in quanto donna, può capitare di subire altre forme di abuso anche dopo che è riuscita a chiedere aiuto e a denunciare. Succede per esempio quando le autorità chiamate a intervenire non riconoscono o sottovalutano quello che ha subito, la colpevolizzano, la fanno sentire inadeguata o ne minano la credibilità. Si parla in questo caso di vittimizzazione secondaria ed è quella che avviene nelle aule di giustizia o nelle caserme quando le donne vittime di violenza si trovano di fronte magistrati, avvocati e forze dell’ordine non adeguatamente formati per affrontare i casi di violenza di genere.

Il tema è stato al centro ieri di un evento formativo e di sensibilizzazione organizzato dalla rete antiviolenza di Brescia con i centri Casa delle Donne e Butterfly e con la struttura territoriale di formazione della Scuola Superiore della magistratura. L’incontro coordinato e moderato dall'avvocata Beatrice Ferrari con la performance teatrale dell’associazione M.A.S.C si è tenuto per la prima volta in tribunale perché questo fenomeno, come ha osservato il Procuratore della Repubblica Francesco Prete, «ha bisogno di attenzione costante, qui, nelle scuole e nelle periferie, al di fuori delle ricorrenze».

Nel penale

«La vittimizzazione secondaria affonda le sue radici negli stereotipi della società patriarcale, che si riflettono poi nei processi - ha spiegato l’avvocata di Casa delle Donne Cristina Guatta -. Così alcuni giudici riducono la violenza domestica a lite familiare, non si accertano dei rapporti di forza tra la vittima e il maltrattante, cercano la causa nella gelosia o nel tradimento invece di riconoscere la matrice culturale». La vittimizzazione secondaria è ciò che spinge in sede penale e civile a non ritenere una vittima credibile se ritratta, invece di indagarne l’ambivalenza di sentimenti verso l’abusante, o a concludere che se chiede un risarcimento lo fa per soldi, o a farla comparire in aula insieme al suo maltrattante senza pensare alla condizione di squilibrio in cui la si pone. 

«Nonostante le leggi e le convenzioni, si fa ancora fatica a riconoscere la violenza di genere e a mettere le distanza della vittimizzazione secondaria - prosegue Guatta -. Il rischio, poi, è di distorcere i fatti in sede penale e di pronunciare sentenze basate su preconcetti che riflettono gli stessi rapporti di forza subiti dalle donne. Una donna che denuncia richiede una capacità di ascolto e una cultura specifica al di là del diritto e delle competenze tecniche».

L'impatto sui minori

Questo atteggiamento a livello giudiziario ricade a cascata sui figli delle vittime di violenza, che l’Italia non tutela a sufficienza, come hanno rilevato gli ultimi rapporti della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e del Grevio, il gruppo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa incaricato di monitorare l’attuazione della Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale ratificato dall'Italia contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. «In Italia il settore penale e quello civile non comunicano, specie per quanto riguarda i tribunali dei minori - ha detto l’avvocata Elisabetta Lazzaroni del centro antiviolenza Butterfly -. Un uomo indagato per violenze può essere ritenuto al contempo adeguato come genitore e così viene deciso l’affidamento condiviso, che è una vittimizzazione secondaria sui figli se hanno assistito alle violenze sulla madre. Perché è qualcosa che provoca stress post traumatico e un impatto duraturo sul loro sviluppo psico-emotivo». Su questo ha recentemente insistito di nuovo il Grevio, che ha sollecitato l'Italia ad adempiere agli articoli 26 e 31 della Convenzione di Istanbul sui diritti dei bambini e sulla valutazione della violenza per stabilire il regime di affidamento genitoriale. 

«Ci sono poi le false credenze secondo le quali una donna vittima di violenza inizia una causa civile per avere dei vantaggi, ma nella realtà non ottiene un euro in più rispetto al normale assegno di mantenimento e viene pure indagata per capire come mai è rimasta in un matrimonio in cui subiva violenza» ha detto ancora Lazzaroni.

La formazione necessaria

Negli ultimi anni il nostro Paese ha ricevuto diverse condanne per vittimizzazione secondaria nei processi per stupro e per violenza domestica da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo. «La Convenzione di Istanbul ci impegna a prevenirla attraverso la formazione di tutte le figure professionali coinvolte - ha concluso Claudia Pecorella, docente di Diritto Penale in Bicocca -. Non dovrebbero succedere più casi come quello di Formare i magistrati è essenziale, ma riconoscere i pregiudizi di genere per quello che sono è un lavoro necessario a tutta la società».

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